(Corriere dello Sport – L. Di Bartolomei) Da un po’ di tempo ho iniziato a pensare a come un giorno racconterò di Ago a mio figlio. Quando sono nato, papà aveva 27 anni, 3 meno di quanti non ne abbia io adesso.
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Ago insegni a uscire dal tunnel
(Corriere dello Sport – L. Di Bartolomei) Da un po’ di tempo ho iniziato a pensare a come un giorno racconterò di Ago a mio figlio. Quando sono nato, papà aveva 27 anni, 3 meno di quanti non ne abbia io adesso.
Nel 1982 Ago è il capitano di una squadra che sarebbe diventata campione d’Italia e avrebbe accarezzato il sogno di diventare regina d’Europa; viene da una famiglia semplice di Tor Marancia; è uno studente diligente che ama il calcio e i colori giallorossi, melanconico ma con mille interessi. Nel 1982 Roma è la capitale di un paese insanguinato dal terrorismo e dalle mafie, dove le vittorie dello sport portano una gioia forse innaturale, antidoto per sentirsi vivi in un periodo terribilmente cupo.
Nel 1982 quel giovane schivo che tra le scrivanie del Corriere dello Sport si sente tra amici, è per tutti solo Ago o Dibba. Molti anni dopo, il 30 maggio del 1994 a dieci anni esatti dalla finale di Coppa Campioni, papà decide di spararsi al cuore. E per quanto continui ad amarlo è una scelta che non potrò perdonargli. Quella raccontata in 11 metri non credo sia tanto la storia di un campione che muore suicida, quanto quella di una persona quasi normale che viene sopraffatta dai propri fantasmi. In fin dei conti è una vicenda più comune di quello che possiamo credere: pur nella sua particolarità è la storia di un tunnel del quale non si vede l’uscita. Uno spettro che soprattutto nei momenti di crisi falcia le vite di molte famiglie, spesso meno fortunate di quanto non lo siamo stati noi.
Non credo sia possibile spiegare quanto di papà ancora oggi viva realmente con me, Marisa e Gianmarco e quanto ci sia stato regalato in questi 17 anni dall’affetto di tifosi, delle persone comuni o da gesti come quello dell’intitolazione di una strada nel meraviglioso parco di Villa Lais voluta, nel 2004, dal sindaco Veltroni. Certo all’inizio tentare di dare risposte sensate ad un gesto così enormemente stupido, quando i primi a non averne eravamo noi, è stato complicatissimo. E come è stato duro ignorare i dubbi negli occhi delle persone mentre dicevo che la nostra famiglia, nonostante quella tragedia, era rimasta salda ed unita proprio come lui e mia madre l’hanno sempre immaginata. E quanta forza deve aver avuto Marisa, che in quell’amore non del tutto reciso ha saputo trovare la capacità per rimettere al centro delle nostre vite la speranza e non la disperazione, canalizzando tutta la rabbia che avevamo dentro per trasformarla in qualcosa di meravigliosamente positivo. 11 metri racconta molti di questi sentimenti.
Credo che il regista, Francesco del Grosso, e la produzione, curata da Daniele Esposito e Salvatore Allocca, siano riusciti a parlare davvero di Ago al di là delle mitizzazioni e degli stereotipi, raccontando con lui tanto di noi. Ancora non so quali parole dirò a mio figlio un giorno per raccontargli chi era papà: sicuramente però saranno parole di gioia e di impegno, come il calcio, come la vita.
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