Mi capita con regolarità, praticamente non c'è settimana che non succeda, di ricevere via chat da amici e conoscenti di Facebook alcune foto di Agostino in giro perla città, scrive Luca Di Bartolomei su Leggo. Oggi al Tufello, la settimana prima a Testaccio, nel poster di Laika, o quella successiva dietro al Dribbling a Tor Marancia. Non sarà un caso se queste poi sono anche le strade dove Agostino girava fin da ragazzino. Le case, i campetti di questa città. Ma non si ferma qui, arriva nelle periferie più lontane.
Leggo
Tutte le strade portano ad Ago
In questi anni sono stato abituato a saperlo sulle magliette di Francesco (De Gregori) e Antonello (Venditti) in giro per concerti o negli spettacoli di Ariele nei teatri di quartiere. Insomma Agostino non smette di girare per Roma, instancabile sulle gambe di giovani e meno giovani. E anche fra i laziali, mi sento di dire, è guardato con affetto e dolcezza.
A qualcuno può sembrare scontato, ma così non è. C'è stato un tempo diverso: di quel calciatore di poche parole, dall'aria imbronciata e malinconica, che poi era morto suicida, per diversi anni non si voleva o si faceva fatica a parlare.
Non ne faccio una colpa a nessuno di quegli anni di silenzio e di oblio. Perché parlare del malessere non è semplice. Eppure, come dimostrano i tanti problemi psicologici che inseguono i campioni, non solo nel momento del tramonto sportivo, talvolta persino nel pieno di un successo così difficile da gestire, parlarne e ricordare è doveroso.
Per questo - oggi che Ago corre sui muri e sulle magliette, fino alle agendine con gli sticker ovunque proteggi - mi sento di ricordare che sottrarsi all'amore non è mai la scelta giusta. Negli anni più difficili credevo che il dovere del ricordo appartenesse solo alla famiglia, a chi gli stava più vicino. Oggi invece mi viene da dire a tutti voi, che con questo sentimento lo avete liberato e fatto correre in giro per Roma, un infinito grazie.
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