rassegna stampa roma

Banca d’Inghilterra

(La Stampa-M. De Santis) Vatti a fidare degli inglesi. Piangono miseria, si lamentano della crisi, battono i pugni sui tavoli europei per i privilegi fiscali alle società spagnole e poi spendono e spandono più di tutti gli altri.

Redazione

(La Stampa-M. De Santis) Vatti a fidare degli inglesi. Piangono miseria, si lamentano della crisi, battono i pugni sui tavoli europei per i privilegi fiscali alle società spagnole e poi spendono e spandono più di tutti gli altri. Il saldo dell’ultimo mercato sconfessa ogni pianto di miseria e certifica l’opulenza generale della galassia Premier League: 765,580 milioni di euro spesi dai club in acquisti, 275,392 milioni entrati dalle cessioni e un saldo complessivo negativo per 490,188 milioni. Il resto dell’Europa calcistica, nonostante le spese pazze dei vari Real Madrid, Barcellona, Psg e Monaco, può solo restare a guardare.

La differenza è che se in Spagna, Francia, Germania e Italia esistono pochi club ricchi e tantissimi costretti ad arrabattarsi per tirare avanti, in Inghilterra vige una spaventosa ricchezza di sistema. Merito dei diritti televisivi, valutati (mercati esteri non compresi) intorno a 1167 milioni di euro a stagione per il triennio che finirà nel 2016, e di una ripartizione dei proventi che non distingue tra figli e figliastri e rende tutti felici, ricchi e contenti.

In Premier League, infatti, anche le squadre meno aristocratiche possono permettersi un discreto quantitativo di acquisti a prezzi pieni. I capi non saranno di grido e griffati come quelli delle corazzate milionarie, ma sono sempre e comunque costosi e sicuramente inarrivabili per le società di parigrado che hanno la sfortuna di militare negli altri campionati europei. Lo specchio del benessere del football inglese, più che i 50 milioni dell’Arsenal per Ozil, gli oltre 100 investiti da Manchester City e Tottenham (agevolato dal trasloco da record di Bale al Real) e i colpi a effetto di Chelsea e Manchester United, sono i 38 versati sull’unghia dal Southampton per prelevare Osvaldo dalla Roma, Wanyama dal Celtic e Lovren dal Lione, i 14 scuciti dallo Swansea per l’attaccante ivoriano Bony, i 7,5 del Sunderland entrati nelle casse juventine per Giaccherini e i 18 spesi dal Norwich per i nazionali olandesi Fer e Van Wolsfinkel.

La semplice presenza nel campionato più «televisivo» del mondo rappresenta per ogni club una sicurezza assoluta. Basti pensare che il Queens Park Rangers, retrocesso lo scorso maggio dalla vetrina della Premier League alla cadetteria della Championship, si è potuto consolare segnando a bilancio un’entrata di 47 milioni. Tanti, tantissimi soldi. Solo 3,9 milioni in meno, tanto per fare un parallelo, di quelli raggranellati insieme da Bayern Monaco e Borussia Dortmund, le due regine incontrastate della Bundesliga e finaliste nell’ultima edizione della Champions.

La situazione, per i «poveri» italiani, francesi, spagnoli e tedeschi, è destinata a peggiorare: i nuovi contratti televisivi, validi fino al 2016 e ancora più ricchi grazie alla feroce concorrenza tra Sky Sports Uk e la neonata British Telecom Sport, aumenteranno il dislivello. E anche di molto. Un esempio? Chi retrocederà dalla Premier League intascherà 75 milioni. Sempre meglio per gli inglesi, sempre peggio per tutti gli altri.