Via Vetulonia sembra più silenziosa del solito. C’è poca voglia di scherzare al bar Jolly, tra i palazzi che hanno visto Francesco Totti crescere e farsi uomo. E poi capitano. Simbolo di una città che stenta ancora a realizzare l’addio al calcio giocato con la maglia giallorossa. «Oggi è il giorno del lutto», sussurrano i 15 tifosi che hanno presidiato per oltre 10 ore i cancelli sbarrati di casa Totti, all’Eur. Speravano di vederlo, di stringergli la mano, scrive Monaco su "Repubblica". Di dirgli «capitano, ce l’hai chiesto ieri (domenica, ndr) da centrocampo, siamo qui per te. Non ti lasceremo mai», come scandiva la Sud durante il discorso di addio. Un grido d’amore, per lenire la ferita di quell’immagine: il trascinatore in lacrime seduto sui cartelloni pubblicitari sotto la tribuna Tevere. «Francesco, non aver paura», voleva confortarlo Roberta Carannante, una 25enne studentessa in Scienze motorie arrivata appositamente da Napoli per assistere alla partita d’addio, allo stadio. «Oggi non prendo il treno di ritorno finché non lo vedo», esclama nel pomeriggio. Non lo vedrà. Può solo immaginare cosa frulli nella mente di Totti «nel primo giorno della sua seconda vita». Lui resta blindato in casa tutto il giorno. «Vuole stare in pace», spiegherà uno dei suoi collaboratori ai tifosi. Il drappello di supporter non molla. «Come starà?», è la domanda che si moltiplica in città, sulle reti social. La risposta, lapidaria, sta nelle parole pronunciate da Marcella, la nonna di Ilary Blasi: «È a pezzi», ammette alle 9 del mattino. La donna è la prima a uscire dal comprensorio alle spalle del centro commerciale Euroma 2.
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Totti, il day after dei tifosi: “Non toglieteci la voglia di continuare a sognare”
"Come starà?", è la domanda che si moltiplica in città, sulle reti social. La risposta, lapidaria, sta nelle parole pronunciate da Marcella, la nonna di Ilary Blasi: "È a pezzi", ammette alle 9 del mattino
Ieri, dopo la festa al ristorante “La villetta” all’Ostiense, lo stesso locale dove il numero 10 volle festeggiare la vittoria dello scudetto, il 17 giugno del 2001, Francesco ha riposato. Non ha accompagnato i figli a scuola. «Sono andati a letto tardi — aggiunge Marcella — oggi non ci vanno». Cristian è uscito verso le 11 con i nonni materni diretto a Trigoria. È tornato a casa per pranzo, poi ancora un’uscita nel pomeriggio, accompagnato dall’entourage del capitano. «Mo’ esce», promette il bambino ai tifosi. Ma il padre non s’è visto. Ha trascorso il pomeriggio in solitudine, senza la moglie, che ha lasciato la residenza verso le 16. Senza la secondogenita, Chanel, che è uscita con la famiglia di un’amica. In casa solo la piccola Isabel, coccolata dalla tata.
E Totti, che fa? «Io continuo, non so dove, ma continuo», avrebbe confidato domenica sera agli amici più stretti. I tifosi non vogliono crederci. «Secondo me inizierà a lavorare come dirigente per la Roma», esclama Silvia Fondacaro, 25 anni, arrivata da Ardea «per omaggiarlo, come ho fatto il giorno del suo matrimonio: ero lì in prima fila e sette anni dopo ho scelto la stessa chiesa per il mio». Ricordi annebbiati dalla malinconia. «Quello che più mi fa soffrire è l’impossibilità di sollevarlo da questo dispiacere», ragiona Mirella, 76 anni, «invalida, ipovedente e romanista dai tempi dell’altro capitano, Agostino Di Bartolomei — ricorda — a quell’epoca andavo pure in curva Sud». Ieri, insieme a sua figlia, ha resistito ore sotto il sole all’esterno dell’ex fattoria “Castellaccio”, ora convertita nella residenza dorata delle famiglie Totti e Blasi.
Chissà che negli anni l’abbonamento di Mirella non sia passato di mano come un testimone fino a Thomas Lintozzi, il 26enne che domenica ha raccolto tra le braccia il pallone autografato calciato in curva dal capitano. Un cimelio che non ha prezzo («non lo vendo, lo custodirò in banca», annuncia il ragazzo) come lo scarpino lanciato alla folla da Bruno Conti la notte del suo addio, il 23 maggio del 1991. Conti è un pezzo di storia della Roma, «ma come Totti non ci sarà mai più nessuno», ripete Giorgio Smith, uno studente 19enne, arrivato da Monteverde alle 10 del mattino. Giorgio smania, si dispera. «Capitano, esci», implora al citofono. Mostra l’autografo del campione tatuato sulla coscia sinistra. Ricorda l’emozione vissuta quando sfilò con Francesco per mano fino a centrocampo. Era il pre-partita di Roma-Basiliea del 3 dicembre 2009. Il match finì 2-1 per la Roma, segnò proprio Totti su rigore. E mentre la città attende, tra malinconia e smarrimento, di conoscere il futuro professionale di «Totti gol», una tifosa ha scelto di parlare all’uomo. «Questo è il mio augurio Capitano — scriveva sulla sua pagina Facebook “Ludo Trast” alla vigilia di Roma-Genoa — che si spengano i riflettori ma si accendano miliardi di stelle a illuminare un nuovo cammino. Vorrei incontrarti tra cent’anni, su una panchina di Trastevere, seduto tra la gente di Roma».
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