rassegna stampa roma

Perchè Totti lo fa

"Non pensa, Totti, o almeno non abbastanza, che tra i danni collaterali di una scena come quella di ieri notte c'è la voglia irresistibile di fuga, il più lontano possibile, di chi di Roma non è, e se ne frega delle leggi del branco"

Redazione

Perché Totti lo fa? Perché uno come lui, con i suoi anni, i suoi gol, la sua storia, trascina i compagni sotto quella massa informe di urla e sputi e violenza, accettando il rito della gogna? Perché, in una parola, mette la sua dignità di campione al crepuscolo della carriera nelle mani di quelli? Perché Totti è di Roma. Perché Totti pensa che sia giusto "metterci la faccia", pensa che la curva venga sopra tutto, perché la curva è il cuore del tifo e il tifo ha sempre ragione. Può sembrare raccapricciante, ma Totti in quella curva andava da ragazzino a tifare la squadra di cui è diventuto simbolo per un ventennio, nella buona e più spesso nella cattiva sorte. Totti a quella curva ha dedicato l'ultimo sorriso della stagione romanista, quel selfie che ora pare sciagurato dopo il secondo dei gol nel derby, un'istantanea che ha segnato lo spartiacque con la successiva dissoluzione. La nemesi lo ha punito, quella gente festante era la stessa gente che ieri era trasfigurata dalla ferocia, dalla delusione, dalla rabbia, dalla voglia di vendetta.

Perché Totti lo fa? Perché sa che Roma è questo, sa che lui a Roma molto probabilmente, quasi certamente, non vincerà più nulla, dopo aver vinto troppo poco e perso troppe volte. Sa che Roma è questo, "la piazza più difficile del mondo"' come ha imparato Garcia, quello della chiesa al centro del villaggio. Ora Garcia ha visto che a Roma si fa presto a sfasciare i campanili e buttare giù tutto, e pazienza se sotto le macerie resta un'idea di credibilità ogni volta faticosissimamente conquistata e molto rapidamente sperperata. Totti sa che la curva dà ma la curva pretende, che qui funziona così, non gli interessa neppure pensare se sia giusto o sbagliato. Non pensa, Totti, o almeno non abbastanza, che tra i danni collaterali di una scena come quella di ieri notte c'è la voglia irresistibile di fuga, il più lontano possibile, di chi di Roma non è, e se ne frega delle leggi del branco. I giocatori, quelli che arrivano da tutto il mondo, dalla Bosnia o dall'Africa o dal Brasile o dall'Olanda, vogliono fare il proprio lavoro in pace, cercando di vincere perché vincere è bello e fa crescere gli ingaggi. Ma vogliono farlo in posti dove i tifosi applaudono o fischiano, ma di certo non ti inseguono per strada per insultarti, non prendono a calci la tua macchina, non ti minacciano di morte, non ti ricoprono di sputi dopo una sconfitta. Da posti così i campioni scappano appena possono. E soprattutto, se possono scegliere, in posti così i campioni poi non vengono, non vengono più. Per Totti questo ora, a fine carriera, conta poco. Per chi nella Roma invece vuole o dice di voler investire tanto, conta moltissimo. E perché in un nuovo stadio la Roma, che non vince niente da sette anni, che brucia un allenatore a stagione, che vede regolarmente i suoi giocatori diventare stracci prosciugati dallo stress e dalla paura, dovrebbe trovare una sua improvvisa normalità?