C'era tutto per fare bene: l'Olimpico, la numero 10 sulle spalle, l'investitura di Spalletti con arringa in sua difesa, il Belgio senza Lukaku e De Bruyne, quaranta minuti di accecante bellezza dell'Italia, scrive Silvia Scotti su La Repubblica. Poi, il buio: un'entrata sciagurata per rimediare a un errore di Bastoni, il rosso del Var, la squalifica che lo riporta già a Trigoria e gli fa saltare la partita con Israele di lunedì. Italia in dieci, il Belgio che segna subito e poi la pareggia. E su Pellegrini (quasi) tutta la responsabilità della serata compromessa, il senso di colpa, forse la tremenda impressione d'essere il capro espiatorio, Benjamin Malaussène sul campo di calcio. Quando nella vita precedente Lorenzo giocava nelle giovanili della Roma e raccoglieva palloni a bordocampo durante le partite di campionato, sognava di essere Totti o De Rossi, e non immaginava di diventare un leader inviso proprio alla sua gente. Ma essere capitano a Roma è diventato un travaglio. Quella fascia presa nel 2021 da Dzeko - che litigò con l'allora tecnico Fonseca dopo la surreale sconfitta in Coppa Italia contro lo Spezia per aver fatto sei sostituzioni - inizia a pesare. L'esonero di De Rossi, poi: nessuno ha chiesto a Lorenzo il suo parere, i dirigenti avevano convocato altri giocatori. La gente pensa: Pellegrini ha cacciato anche lui. Poi ha parlato con Juric appena arrivato spiegando al nuovo allenatore quanto la squadra fosse legata a De Rossi, quanto fossero frastornati tutti dal cambio inaspettato. Gli rimproverano anche lo stipendio molto alto: 6 milioni a stagione, prima di Dybala era il più ricco della Roma. Per i tifosi: sono tanti, troppi.
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Pellegrini senza meta: il colpevole perfetto per Roma e Nazionale
Pellegrini non ha il carisma di De Rossi che "alla Roma ho il solo rammarico di poter dare una sola carriera", ma il suo stesso senso di appartenenza e il suo amore incondizionato. Non ha il genio di Totti, che pure lo aveva investito: ha talento, non abbastanza da far sognare, ma neppure troppo poco per non pretendere sempre di più da lui. Schivo, riservato, si è chiuso nel suo cerchio magico. Si comporta così anche quando fa beneficenza: gli chiedono di pubblicizzare gli eventi sperando nell'emulazione. Non lo fa, non gli piace, non vuole apparire. Resta con le poche persone di cui si fida. Con il papà Tonino, che lo allenava da bambino in una scuola calcio sulla Tuscolana, a sud-est di Roma. Con la mamma Monica, che faceva la catechista. Con il cugino Raffaele. Con il fratello Francesco, la moglie, i tre figli e i due cani nella villa vicino al mare, nella sud della Capitale. Esce di rado, parla ancora meno. Pellegrini non ha (ancora) mai pensato di andarsene, ma tra un anno e mezzo scade il contratto e la discussione per il rinnovo con la Roma non è cominciata. Il momento è complicato: si può dare senza ricevere, ma è difficile sopportare lo stress da troppo poco amore.
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