Tanto, ma non tutto. Sul conto di José Mourinho si è detto e scritto tanto, scrive Mimmo Ferretti su La Repubblica. Tipo che è un professore di comunicazione; che non sbaglia una dichiarazione in pubblico neppure se glielo chiedi per favore; che sa sempre come affrontare qualsiasi tipo di ostacolo dialettico e, soprattutto, che sa come entrare dritto per dritto nel cuore dei tifosi. Tanto, ma non tutto. Non è stato detto e scritto in maniera convinta, ad esempio, che José è ancora un ottimo allenatore. Chi pensava (temeva?) che fosse arrivato a Roma solo per dare un ulteriore scossone al proprio conto in banca o per rinvigorire il proprio ego, aveva toppato clamorosamente la previsione. La sua Roma è una squadra che nel giro di poche settimane ha capito cosa fare, come farlo e quando farlo. Contro qualsiasi tipo di avversario. Aggredendo oppure facendosi aggredire, a seconda della strategia di gara. La Roma ha vinto quattro partite su quattro cambiando ogni volta atteggiamento tattico: ha giocato di rimessa, e in quel caso è stata cinica, spietata, perfino cattiva; e ha giocato pure comandando le operazioni, e in questo caso è stata paziente, lungimirante, perfino buona. E chi se non Mourinho è stato il raffinato regista di tutte le operazioni? Altro che Bollitinho… Il portoghese ha dato anima e forza mentale a una squadra che aveva paura anche della propria ombra; le ha garantito sicurezze tattiche che non conosceva, coinvolgendo tutti e facendo sentire tutti importanti. Ha devastato, in positivo, un ambiente molle e fin troppo abituato al comodo tran tran. Ha fissato le regole, ha sottolineato i diritti e puntato forte sui doveri, in primis quello di cercare la vittoria contro qualsiasi avversario.
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La Roma di Mourinho è una squadra che nel giro di poche settimane ha capito cosa fare, come farlo e quando farlo
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