Mediani sarete voi, voi e la retorica di quello nato senza i piedi buoni, a recuperar palloni e lavorare sui polmoni. Quando un passaggio arriva in quel modo lì, soffice, profondo, l’altezza giusta, c’è solo una maniera con cui andarci. Come ci andrebbe un numero dieci, un nove e mezzo, va’, con la sua intuizione e soprattutto con i suoi piedi. In sforbiciata. Anche se sei il più rustico dei calciatori sulla faccia della terra. Per fare un gol così serve un peccato di superbia, sentirsi dio, allungare la mano all’albero della conoscenza. La brutta figura ti sta aspettando, ma non c’è tempo per pensarci. Bisogna sollevarsi in volo e andare, un colpo di cesoia, le gambe come due chele, zac, taglio, effetto alla palla e buca. Poi ognuno ha il suo stile. Magari, nel ricadere, la mano sinistra sul prato meglio non posarla, non fa chic, ma siamo alle sfumature, essere Nainggolan non sempre lo prevede. Nell’eterno conflitto tra ciò che siamo e ciò che vorremmo essere, il miglior modo di risolvere il dilemma viene tutt’oggi attribuito a Massimo Troisi (1953-1994, filosofo), che tra un giorno da leoni e cento da pecora suggeriva di viverne cinquanta da orsacchiotto.
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Nainggolan, il calcio operaio che sa andare in paradiso
Il guerriero o ninja, Radja Nainggolan, guida la squadra giallorossa diventando uno dei punti cardine del centrocampo.
Nainggolan Radja, detto Ninja, in una domenica pomeriggio obbedisce e s’adegua. Non è più solo un guerriero e non è già del tutto un re, però nel mezzo ne succedono di cose. Forse non per sempre ma neppure per una volta sola: cinquanta giorni, ecco, cinquanta giorni di questa vita possono bastare per mettersi una squadra sulle spalle e attraversare fino in fondo una stagione, Coppe comprese. Non è la figura a cui viene da attribuire un ricamo, ma il calcio è pieno di guerrieri che si specchiano nello stagno e si scoprono cigni. Salvatore Bagni portava i calzettoni abbassati, aveva polpacci e nervi scoperti, spesso anche i gomiti larghi e la fronte poggiata a quella dell’avversario. Faceva espellere e si faceva espellere, cosa che non gli impedì di segnare un gol in rovesciata contro il Torino. Edgar Davids stava in campo come un bullo, giocava un calcio selvaggio, quasi la prosecuzione delle sue scazzottate in strada, eppure venne quella volta in cui Del Piero gli fece calciare una punizione al posto suo, contro il Brescia. Gol. Anche Fabio Pecchia, altra zanzara fastidiosa che gli allenatori liberavano sulle caviglie altrui, si specializzò nei colpi di qualità, e guai a chi osava ricordargli i tackle del suo passato. Rino Gattuso ha nel suo album un gol a Buffon con un pallonetto. Di sinistro. E più su di tutti sta Mauro Bressan, distributore di contrasti fra Perugia Como Foggia e Bari, prima di segnare con la maglia della Fiorentina al Barcellona, in rovesciata, da 25 metri: impresa inserita dall’Uefa fra le perle di sempre in Coppa. Un premio per lui e per tutti gli operai del calcio finiti in paradiso. Del resto è Nainggolan a disegnarsi così, tutto muscoli e grifo. Non solo in campo. Dategli uno smartphone e solleverà il mondo. Va su Twitter e sfotte, discute con Peluso su rigori e fuorigioco, litiga con i tifosi. Quando un anno fa diventò il protagonista del mercato italiano, scannarsi per lui parve il segno dei tempi. Ma pure il Brutto Anatroggolan può farsi cigno. Ecco, allora Ligabue ringrazi il cielo di essere interista. Se fosse finito a cantare la sua vita da mediano faccia a faccia con Radja, chissà che fine avrebbero fatto microfono e chitarra.
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