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La Repubblica

Mourinho contro Pinto: un club, due anime e i soldi (che mancano)

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Quando c’è da pianificare il mercato con uno Special One ambizioso come è il suo dna e come può una stoccatina non la nega a nessuno

Redazione

Mourinho provoca e spera. Pinto incassa e puntualizza. I Friedkin tacciono e pagano come, del resto, stanno facendo da quando sono sbarcati da queste parti, scrive Piero Torri su La Repubblica. Sono le tre anime di una Roma che è sì una grande famiglia, ma che come in ogni famiglia che si rispetti, deve confrontarsi con diversi punti di vista, figli legittimi di ruoli e competenze.

Soprattutto quando c’è da pianificare il mercato con uno Special One ambizioso come è il suo dna e come può una stoccatina non la nega a nessuno; un direttore sportivo vestito da general manager costretto a fare i conti con i paletti del fair play finanziario cosa di cui, ne siamo certi, farebbe volentieri a meno; una proprietà a cui basterebbe dire di aver investito fin qui oltre settecentoventi milioni per zittire chiunque e se poi ricordasse di aver riportato un trofeo europeo dopo sessantuno anni, bisognerebbe soltanto riapplaudirli.

Non ci vuole una fantasia esagerata per capire come l’intera (o quasi) tifoseria, sia dalla parte del guru portoghese seduto in panchina. Ovvero a gennaio Ndicka come difensore centrale, Odriozola sulla corsia destra a tappare il buco aperto dal ribelle Karsdorp, il figliol prodigo Frattesi in mezzo al campo per garantire al reparto quelle caratteristiche, interdizione, corsa box to box, brillantezza, una certa confidenza con il gol, che tutti gli altri messi insieme non sono in grado di dare.

Fanno oltre trenta milioni. Bene, anzi male, perché la Roma non ce li ha. E pure se li avesse, non potrebbe spenderli. Perché la sentenza dell’Uefa al club giallorosso ha imposto rigidi paletti: concludere il mercato in attivo, vietato aumentare il monte ingaggi e il peso economico degli ammortamenti a bilancio dei cartellini.

Mourinho fa il suo mestiere: chiede. E allora come fare per accontentarlo? Con quello che gli economisti definiscono rischio d’azienda. Sapendo che si potrebbe trasformare in un successo. Perché centrando gli acquisti giusti e recuperando alcuni giocatori fin qui molto al di sotto delle loro qualità, quel quarto posto che vuole dire Champions diventerebbe più possibile. E quel quarto posto vorrebbe dire 50-60 milioni in più di fatturato.