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La parabola di Zaniolo, condannato a restare pischello per sempre

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NIcolò non è stato nemmeno fortunato, va detto. Quando si poteva sognare, è arrivato il danno, uno dopo l'altro

Redazione

Ci sarebbe da scrivere un romanzo sulle gesta, non sempre eroiche, spesso complicate da un guaio fisico, a volte debordanti oltre i confini del calcio e dello sport, di Nicolò Zaniolo, scrive Enrico Sisti su La Repubblica. Ma che romanzo sarebbe? Appendice, avventura, psicologico, anti-romanzo? È un grande, Nicolò Zaniolo. Ma è soprattutto un grande pischello. È come se fosse cresciuto a metà. Eternamente acerbo. Una parabola perennemente interrotta. Iniziata sì, ma interrotta. Interrotta tutte le volte che al suo posto ha parlato un parente o la disgraziata combinazione di fato e prato, di muscoli e controllo, di dirompente energia e di massima insicurezza. Zaniolo ha da poco festeggiato le sue 100 partite con la Roma. Ha impiegato tre anni mezzo per completare questo primo ciclo di esperienze: tanto è passato dal 19 settembre 2018 e da quel Real Madrid-Roma. Ma non è diventato altro da sé. Il che fa un po’ tristezza, perché ogni volta che lo vedi ruggire sul pallone più del necessario, ti domandi come sia possibile, nella nostra epoca di vissuto frenetico, che un ragazzo sia rimasto fermo al tempo che fu. Zaniolo non è stato nemmeno fortunato, va detto. Quando si poteva sognare, è arrivato il danno. Quando lo si poteva dare per svezzato, con davanti la porta aperta delle manifestazioni più importanti, è arrivato un altro danno.  Se i suoi rapporti con la Roma sono al limite della decenza, se nessuno fa più carte false per tenerlo, se lui stesso, a contrasto, dichiara eterno amore per i colori giallorossi, vuol dire che il meccanismo non funziona più e ha bisogno di benzina propagandistica. Forse Nicolò ha davvero bisogno di cambiare aria, persone, colori. Lo dimostrano i ricordi.