In quattro giorni, una storia di 96 anni, scrive Piero Torri su La Repubblica. Quella della Roma. Dai 146 minuti, record di tutti i tempi, di Budapest, ai 105 nell’ultima fatica di campionato contro lo Spezia. Dai rigori nella finale di Europa League, al rigore assegnato da Maresca dopo che ne aveva negati due ancora più evidenti (su El Shaarawy e Dybala ). Dal rigore (e non solo) non dato a Budapest, all’ennesimo crociato saltato nella storia giallorossa, quello di Abraham , cioè il giocatore su cui la società voleva costruire le plusvalenze (lecite) necessarie e un attivo con cui poter poi operare in entrata. Serve altro? Eppure Mourinho e i suoi discepoli hanno chiuso tra gli applausi commossi di un popolo che c’è stato, c’è e continuerà a essere al fianco della Roma. Voglio, vogliamo di più. Questa è stata la richiesta fatta da Mourinho nei confronti di una proprietà che continua a mantenere un ostinato silenzio per molti versi inspiegabile. Più che a Mou e ai suoi discepoli, la proprietà una risposta la deve dare a questa gente. Avendo, peraltro, un grande vantaggio. Quello di sapere che qualsiasi cosa dovessero dire, troverebbero ascolto e condivisione. Serve chiarezza. Nel caso anche dura, sapendo comunque che i sogni non hanno una data di scadenza.
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