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Follie da calciomercato: mezza A cambia maglia. “Ma ai club non serve”

Le squadre rivoluzionate dal mercato sono quelle che più spesso soffrono o finiscono in B.

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Consigli per gli acquisti: comprate il meno possibile. Il segreto delle vittorie è nella stabilità. Le squadre rivoluzionate dal mercato sono quelle che più spesso soffrono o finiscono in B. È il risultato del rapporto mensile dell’Osservatorio Football del Cies, il centro internazionale di studi sportivi dell’Università di Neuchatel, Svizzera.

Primo allarme: in Europa si compra troppo. Oltre il tramonto delle bandiere: qui i calciatori non fanno in tempo neanche a disfare le valigie. Nei 31 principali campionati, il 41,5% ha cambiato squadra da meno di 12 mesi. Senza toccare la freneticità di Cipro (quasi il 60% di nuovi acquisti ), in Serie A il 47,9% degli attuali protagonisti indossava un’altra maglia appena un anno fa, e in 5 stagioni la media è stata del 45%, superiore al trend europeo ( 39,7%). Persiste una fretta di cambiare fine a se stessa, non legata a particolari esigenze economiche, ma mirata ad accontentare allenatori e mediatori, rileva l’Osservatorio. Il gap con i grandi campionati è imbarazzante: nello stesso periodo, la Liga ha avuto il 35.7% di cambi, la Premier il 35.5%, la Bundesliga il 30.9%, la Ligue 1 il 30.3%.

E il fascino del nuovo acquisto – pure brocco, che importa – chiude la porta ai giovani dei vivai. La bulimia di facce fresche nuoce ai risultati. Fra il 2009 e il 2013, una squadra europea su tre (34,3%) di quelle totalmente rinnovate (almeno 16 acquisti in un anno è retrocessa. Un rischio triplo rispetto a chi ha cambiato meno di 10 giocatori. Poi, ovviamente, ci sono esempi contrari: il Sassuolo con lo zoccolo duro rischiava la B, a gennaio 2014 ha preso 12 rinforzi e s’è salvato. “E stata un’eccezione – spiega il ds Nereo Bonato – alla nostra filosofia della continuità. Da neopromossi, in estate avevano poco appeal sui giocatori esperti, solo a metà stagione li abbiamo convinti a venire da noi. Il Sassuolo è salito dalla C2 alla A con un gruppo storico, Magnanelli e Pomini ne fanno ancora parte, e da anni gioca col 4-3-3, puntando a cambiare il meno possibile. Per essere stabile devi avere anche continuità nella proprietà, nell’allenatore, nel modulo, in A non succede spesso. Anzi, cambiare panchina comporta la necessità di accontentare le esigenze del nuovo tecnico”.

In Italia, il club più continuo, manco a dirlo, è la Juventus: 11 uomini in bianconero da oltre 3 anni, solo 6 sono arrivati nel 2014. In media, 3,58 anni di’anzianità aziendale. Vince dal 2012 e guida una classifica chiusa invece dal Cesena, che, corrplice la nuova proprietà, ha cambiato più di tutti (in media, giocatori in rosa solo da un anno e mezzo, nessuno c’era tre stagioni fa) . L’indice di fedeltà dei propri atleti è altissimo nei grandi club: 4,32 anni al Real, 4,04 al Barcellona, 3,88 al Bayern, 3,39 al Chelsea. Fra i 50 più stabili in Europa, oltre alla Juve (16 ), c’è il Cagliari: 3.26 anni la media. I sardi però sono terzultimi. E a Zola qualche rinforzo non dispiacerà.