San Siro, in un’istantanea di 23 anni fa. Milan-Ascoli, seconda stagione di Capello, l’ultima di Van Basten. Spettatori paganti: 60mila. Partita di non cartello, partitaccia di secondo piano. 60mila fiati, teste, il boato della Sud ai gol di Papin, 2-0 tra gli applausi. Gli unici occhi sulle gesta dei ventidue erano quelli degli spettatori, dei giornalisti, di chi c’era. Le immagini tv arrivavano dopo, in quelli che in una meravigliosa perifrasi italiana venivano definiti “riflessi filmati”. La diretta video non c’era. Era il campionato 1992-1993: l’ultimo senza la pay tv. Milan-Cagliari, l’ultima giornata giocata del campionato in corso, uno dei peggiori Milan di sempre, certo, contro uno dei peggiori Cagliari di sempre, almeno in A. Spettatori? 30mila. La metà esatta. Metà delle teste, il boato divenuto un belato, spazi vuoti che la telecamera di Sky ha cercato pietosamente di evitare. Nemmeno riuscendoci. È un esempio, uno dei tanti possibili su cosa sia diventato il calcio italiano nelle ultime due decadi. Un gioco col nulla intorno.
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Ciao stadio, è meglio la tv: un milione e mezzo di addii
Gli italiani preferiscono vedere le partite in tv invece che andare allo stadio. La media spettatori più alta è quella della Roma, 41mila, in leggero incremento rispetto allo scorso anno
Dati dell’Osservatorio del calcio alla mano, l’emorragia di spettatori dagli stadi italiani è spaventosa. L’ultimo campionato si avvia a diventare il meno visto dal vivo di sempre: la proiezione di 21.964 spettatori a partita è di gran lunga il dato peggiore dal 1992 a oggi. Il campionato 2014-2015 avrà portato complessivamente allo stadio 8,3 milioni di persone. Nel ‘92-’93, l’ultimo anno senza pay tv, il numero si elevava a 9,9 milioni. Un decremento storico di 1,6 milioni. Impressionante.
La media spettatori più alta è quella della Roma, 41mila, in leggero incremento rispetto allo scorso anno. Quasi drammatico il dato di Inter e Napoli: -27% e -19% rispetto ai numeri di dodici mesi fa.
Il calcio non interessa più agli italiani? No, non è questo il punto, anzi. La differenza tra il prima e il dopo la coprono le tv satellitari. Durante la quarta giornata di campionato, significativa perché una delle poche con gran parte dei match in contemporanea (8 su 10, tutti alle 20.45), la media spettatori su Sky è stata di 1,8 milioni. Il travaso di appassionati dagli impianti al divano è tutto in questo dato, plasticamente perfetto. Sul divano si sta comodi, le telecamere fanno più di due occhi, e poi c’è il prima, il durante, il dopopartita. Tutto talmente comodo da costringere in un angolo della memoria l’antico rito della domenica pomeriggio. Il tifo vero, quello da stadio, è ormai appannaggio solo degli ultras e di pochi coraggiosi.
Eppure in Premier League, dove gli impianti si riempiono in media all’80% della loro capacità, i proventi da diritti tv per le società sono più alti che in A. E il travaso non c’è stato, anzi. Gli stadi inglesi fanno il loro, come quelli tedeschi post Germania 2006, comodi come grandi case del tifo, come solo lo Juve Stadium in Italia, significativamente l’unico a riempirsi in media quasi al 90%, sempre, della sua capacità. Il buco della A è una voragine che si amplia di anno in anno, ma alle società questo importa praticamente zero. Prendiamo in esame il prezzo medio di un biglietto di una partita di A e facciamo un calcolo di massima: se i “telespettatori” fossero “spettatori” le società incasserebbero, complessivamente, 64 milioni di euro in più, circa 3,2 milioni ciascuna. Quanto incassano dai diritti tv? 855 milioni annui, 42 ciascuna in media. Vuota estetica, niente di serio, almeno per loro: quello degli stadi vuoti per i presidenti è semplicemente un problema inesistente.
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