rassegna stampa roma

Ancora Borini, la Roma vede l’Europa

(La Repubblica-E.Sisti) Parafrasando il clown di Heinrich Böll: «Siamo la Roma e facciamo raccolta di attimi». In uno di questi, magnificamente visualizzato dalla verticalizzazione di Pjanic e Gago,

Redazione

(La Repubblica-E.Sisti) Parafrasando il clown di Heinrich Böll:«Siamo la Roma e facciamo raccolta di attimi». In uno di questi, magnificamente visualizzato dalla verticalizzazione di Pjanic e Gago,

Borini trova lo spazio per il diagonale decisivo (25’), un gesto in apparenza semplice che ha il suo bello nella preparazione, nell’aver fatto in tre a fette il campo. Il settimo gol stagionale di Fabio, sette reti come Osvaldo (ieri male), migliore in campo col solito De Rossi fagocita-palloni, rilancia la Roma delle alternanze cruciali, degli immaturi di classe, del sì e del no, del no e del sì. Ora la Roma è quinta malgrado le amnesie imperdonabili di cui è stata vittima e le partite dolorose il cui ricordo continua a provocare pesanti mal di testa. Quinta davanti a Inter e Napoli. Se ci si limita al rendimento negli scontri diretti, la posizione è corretta. Luis Enrique è un uomo intelligente. Quando mancano due settimane al derby di ritorno, dopo essersi ricordato, magari svegliandosi di soprassalto durante la notte, che Cagliari e Siena gli hanno portato via ben 11 dei 12 punti a disposizione, chiede tanto in settimana, al chiuso di Trigoria, sbuffando contro chi sembrerebbe fuori dalla logica del suo progetto. Ma la domenica è assai meno radicale. Più pratico. La Roma di ieri non è più il suo progetto, inteso nel senso classico di una rivoluzione del pensiero, bensì il suo adattamento, la sua franca italianizzazione. Più spicci e meno ricci. Da sognatori a umili (ma armati) cacciatori di attimi. Se pesava perdere punti lo è anche guadagnarli, lo è anche vincere senza brillare. Meglio essere la Roma 2 e scalare due posizioni in nome dell’Europa che essere una Roma 1 avanzata nelle idee e arretrata in classifica. O una Roma 3 che trasforma Thiago Ribeiro in Van Basten. Aiutata da Donadoni che troppo tardi inserisce Biabiany, l’unico che forse avrebbe potuto impensierire Juan e Heinze, col Parma la Roma non ha rischiato quasi nulla (un tiro dell’ex Okaka respinto da Stekelenburg all’8’ del st). È stata prudente nel primo tempo e sprecona nella ripresa, quando Taddei, Lamela e persino il debuttante Marquinho hanno mandato il pallone a sbattere contro qualcosa di mobile e di verde acido che gli veniva incontro (il portiere Mirante). L’arbitro Peruzzo non ha visto il mani di Ferrario in area. Avendo già commesso lo stesso peccato in Juventus- Siena (braccio di Vergassola) c’è da chiedersi se per caso non sia allergico a fischiare falli del genere o se non sia sempre colpevolmente posizionato male. E mentre De Rossisi prende del “pirla” da Costacurta in tv per aver solo pensato di poter cambiare aria, il concetto viene ribadito: quando Daniele è in campo la Roma trova una sua armonica o disarmonica efficacia. Lui e Borini, più qualche giocata di Pjanic e Totti, sono il sale della pietanza giallorossa: «Ma serve continuità», ammonisce Enrique. La solita legittima invocazione rivolta soprattutto ai più giovani della cricca, che vanno a ondate. Bergamo sarà importante. Ma senza Totti. Ammonito, salterà l’Atalanta. Non il derby.