( Il Romanista )- Nove anni di Roma. Nove anni di amore verso la squadra giallorossa dimostrati sul campo. Simone Perrotta lo scorso anno ha dato l’addio alla Roma e al calcio. Perché per lui, dopo nove stagioni, il calcio e la Roma erano la stessa cosa. Della sua storia giallorossa l’ex centrocampista ne ha parlato ieri nel corso della trasmissione "La Domenica del Romanista" in onda su Rete Sport.
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Perrotta: “Io, un romanista”
( Il Romanista ) – Nove anni di Roma. Nove anni di amore verso la squadra giallorossa dimostrati sul campo. Simone Perrotta lo scorso anno ha dato l’addio alla Roma e al calcio.
Una lunga chiacchierata partita dall’ultimo gol segnato da Simone durante Roma-Genoa dello scorso 3 marzo: «Si, è stato ultimo...Cosa mi è rimasto di tutti gli anni passati alla Roma? Mi è rimasto tantissimo. È chiaro che dopo che fai 9 anni a Roma, in una squadra così, in una città del genere inevitabilmente ti rimangono delle sensazioni che difficilmente riesci a provare in un altro contesto - le parole di Simone -. Mi rimangono tante amicizie belle, tante vittorie ma ne potevamo fare tante altre, anche più importanti. Occasioni che abbiamo perso o che ci sono sfuggite per delle piccolezze. Ecco, insomma, con un po’ più di attenzione potevamo vincere qualcosa di bellissimo, di incredibile. Sono, comunque, molto soddisfatto di quello che ho fatto, di quello che ha fatto la squadra».
Il rimpianto più grande quale è stato? Lo scudetto perso contro la Sampdoria?
Sì, perché dopo una grande rincorsa eravamo riusciti a superarli e poi quella partita in casa contro la Sampdoria... dovevamo andare in vantaggio, mantenerlo e fare due o tre gol ma non ci siamo riusciti e poi nel secondo tempo è successo quello che nessuno si aspettava. Quindi quello è sicuramente il rammarico maggiore perché andava a mettere la ciliegina sulla torta di una mia carriera ricca di soddisfazioni.
Ma cosa è successo a fine primo tempo di Roma-Sampdoria? Tutti ricordiamo anche un tuo litigio con Vucinic...
Sì, è successo quello che succede in ogni squadra. La tensione era molta, c’era nervosismo, c’era la voglia di vincere quella partita. Tutte cose che ci hanno giocato un brutto scherzo. Tra l’altro tra due amici... perché eravamo e siamo tutt’ora amici. Andavamo a cena insieme con le nostre mogli, c’era un buon rapporto ma si sa il nervosismo, la voglia di vincere ti porta a dei litigi che in quel contesto lì, in quel momento ha levato qualcosa alla squadra.Quindi per me il rammarico è doppio.
Quindi il litigio ha inciso su quello che è successo nel secondo tempo?
Credo che qualcosa ha levato alla squadra. Non so se è stato quello il fattore scatenante della sconfitta però, secondo me, qualcosa ha levato alla squadra. Dovevamo forse essere un pochino più intelligenti. Il primo anno alla Roma fu complicato. Poi le cose cambiarono.
Cosa è cambiato con l’arrivo di Spalletti?
Il primo fu un anno di transizione per quanto riguarda la società. Io sono arrivato in un momento in cui si erano venduti dei giocatori importanti. Siamo arrivati io, Ferrari... giocatori che sicuramente diversi rispetto a quelli che erano andati via e la squadra veniva da un secondo posto. I risultati sono venuti meno ed è chiaro che quando succede questo i primi a pagarne le conseguenze sono i nuovi arrivati. Poi tral’altro mi avevano etichettato come il sostituto naturale di Emerson quando io e lui per caratteristiche eravamo completamente diversi e quindi si era fatta un po di confusione nel giudicare le mie qualità. Poi è arrivato Spalletti, mi ha cambiato ruolo e da lì in poi è stato tutto un crescendo di emozioni e di soddisfazioni. Senza quel primo anno, in cui ho e abbiamo subito le critiche di tutti, le soddisfazioni che mi sono tolto dopo non avrebbero avuto lo stesso sapore. Dopo quel primo anno diventi uno dei giocatori più rappresentativi.
Uno dei giocatori più romanisti in campo. Quando ti è scattato questo sentire la maglia che poi si vedeva anche in campo?
Io ho sempre giocato allo stesso modo anche il primo anno... però i risultati non erano quelli che tutti si auspicavano. Il mio modo di interpretare le partite è sempre stato lo stesso ovvero quello di dare tutto come fanno tutti i giocatori. Poi è chiaro che su di me si notava di più ma perché le mie qualità lo facevano notare. Io mi sono sempre sentito parte integrante del progetto, anche quando venivo criticato. Però a un certo punto si è proprio visto che sei diventato romanista... Paradossalmente sono diventato più tifoso nel momento in cui non ho giocato con continuità. Quindi negli ultimi due anni sia con Luis Enrique sia con Zeman il senso di appartenenza è cresiuto.Quando stai fuori cerchi di dare una mano come puoi e quindi lì è uscito fuori. Ho sentito il dovere di aiutare la squadra sia sul campo sia fuori.
Il ricordo più bello legato alla Roma?
Il ricordo più dolce è il gol a Siena. Va al di là di qualsiasi vittoria sia personale sia di squadra. In quella occasione ho avuto la sensazione di essere amato e apprezzato da tutta la squadra. Quello è stato un momento incredibile che va al di là di qualsiasi trofeo vinto perché non giocando con continuità rischi di avere un approccio sbagliato nei confronti della squadra e invece quello mi ha dato la dimostrazione che il mio lavoro all’interno del gruppo lo stavo facendo nei migliore dei modi. Con un esultanza bellissima: una corsa verso il settore ospiti bellissima. Quello perché ho sempre sentito una vicinanza con i tifosi e quella corsa era anche un modo per ringraziarli di tutto l’affetto che mi hanno dato.
A proposito di esultanze: ti ricordi cosa hai detto al telefono a quel tifoso che ti ha passato il telefonino dopo un gol a Milano che è valso la Coppa Italia?
No (ride, ndr), neanche mi sono accorto che c’era un telefonino...
Si è detto tante volte che c’era un futuro per te dentro la Roma. È ancora in piedi? Perché non si è fatto più?
Ne abbiamo parlato tante volte. Quando non mi hanno più voluto fare un contratto da calciatore mi hanno proposto un altro tipo di percorso con loro e io, inizialmente, gli ho detto che avevo comunque bisogno di metabolizzare il fatto di non giocare più e poi ne avremmo parlato. Successivamente ne abbiamo ridiscusso e loro mi hanno proposto di stare vicino alla squadra. Però era un impegno quotidiano e io a luglio non me la sono sentita anche perché non potevo assumere un ruolo quotidiano essendo impegnato in federazione. Ho dato la disponibilità per un’altra soluzione e ne stiamo parlando.
Cosa ne pensi della Roma di questa stagione?
Se dicessi che non mi ha sorpreso direi una bugia. Dopo il 26 maggio ero sicuro che la società avesse fatto degli acquisti azzeccati. Sono entrati dei giocatori molto forti e i fatti sono arrivati. Il dispiacere è che, come la mia Roma, questa ha di fronte una corazzata. Noi avevamo l’Inter, loro hanno la Juve. La sconfitta contro la Juve non rispecchia la differenza tra le due squadre. Con tutti a disposizione la Roma può ripetere la sia di inizio stagione.
Un giudizio su Nainggolan?
A Cagliari ha fatto veramente bene. Ha delle qualità importanti per giocare a grandissimi livelli anche nella Roma.
Se la Roma vincerà la Coppa Italia o lo Scudetto, Simone Perrotta deve stare in campo ad alzare il trofeo perché l’ultimo ricordo non può essere il 26 maggio...
Eh, si... Però, secondo me, senza il 26 maggio non ci sarebbe stata questa squadra. Non tutti i mali vengono per nuocere.
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