(Il Romanista-T.Cagnucci) Nel 1815 negli Stati Uniti la notizia della sconfitta di Napoleone a Waterloo il 18 giugno di quell’anno arrivò sui vari “Corrieri” che era autunno.
rassegna stampa roma
Noi giochiamo per la Roma
(Il Romanista-T.Cagnucci) Nel 1815 negli Stati Uniti la notizia della sconfitta di Napoleone a Waterloo il 18 giugno di quell’anno arrivò sui vari “Corrieri” che era autunno.
(...) Ieri a Roma è sembrata accadere una cosa simile quando in tanti hanno letto sul Corriere il titolo “Rivoluzione Roma”.
Sempre bello nella sua semplicità (e nell’accostamento di due bellissime parole), però è sembrato raccontare qualcosa cominciato già 5-6 mesi prima. Vero che l’America è venuta a Roma, ma è successo il 15 di aprile 2011. Non è tanto che per qualcuno questa cosa è stata una Waterloo, e non è tanto che non si possa ri-annunciare un cambiamento, piuttosto è che quest’annuncio già c’è stato: già è arrivato lo scompaginamento della rosa, degli organigrammi (anche l’allontanamento della Mazzoleni fisiologicamente previsto dall’estate), dei quadri tecnici e societari. Si annunciano arrivi a go-go, 6 mesi fa sono arrivati 11 giocatori, un’intera squadra: la Roma.
Il fatto è che nessuno si è accorto che la rivoluzione a Roma è iniziata veramente, e forse non se ne sono accorti perché la rivoluzione ha bisogno sempre di tempo. Anche lungo (per qualcuno come Trotsky la rivoluzione sarebbe dovuta essere – giustamente – permanente). Non si fa vedere. Si fa. La rivoluzione prevede quello che non t’aspetti: la rivoluzione. Lo diceva non Napoleone ma Robespierre all’epoca del Direttorio: “Cittadini vorreste una rivoluzione senza rivoluzione?”. C’è bisogno di tempo, non di nomi anche se il solo fatto oggi di poter dire che la Roma comprerà 5-6 giocatori sostanzialmente titolari è a Roma già di per sé veramente rivoluzionario. Non ci vogliono i nomi (Isla è più di una possibilità, Higuain un grande obiettivo) ci vuole tempo, quello che si sta vivendo.
Il più grande manager della storia del calcio (se non si considera Falcao in campo) è sir Alex Ferguson. Con il Manchester United ha vinto 37 trofei. Allo United per fare la rivoluzione questo laburista scozzese è arrivato nel novembre del 1986. Per vincere qualcosa, la prima cosa, Ferguson ha aspettato quattro anni, per vincere il suo primo campionato ha aspettato sette stagioni. Alla prima, quando aveva 45 anni e non 41 come Luis Enrique in campionato arrivò all’undicesimo posto a una trentina di punti dal primo, anche al terzo anno finì 11esimo (senza vincere niente), l’anno dopo ancora (stagione 1989-90) il Manchester United del fin lì troppo scozzese e troppo laburista Alex Ferguson arrivò 13esimo a 48 punti, 5 punti sopra la zona retrocessione mentre il Liverpool chiuse campione a 79.
La rivoluzione ha sempre bisogno del tempo che ha: ci sono 12 partite da giocare, 36 punti da prendere, un’Europa da cercare di conquistare (e nessuno chiede di fare una campagna di Russia), ci sono parole come impegno, serietà, professionalità con le quali si sostanzia ogni buona cosa, non solo una promessa di vittoria. La rivoluzione a Roma non sta in un titolo ma proprio in parole come pazienza, lavoro, costruzione, riflessione, umiltà. Guardate come gioca Totti. Ecco quello è un buon esempio pratico, senza fare metafisica pelosa. La rivoluzione non è voglia di cambiare tanto per fare, non è una fregola, un arrapamento da sveltina, una scorpacciata di calciomercato, la rivoluzione è quasi sempre un programma (se volete un piano quinquennale). La rivoluzione prevede tempo, il tempo che la fa vivere: novanta minuti più recupero per ogni partita. E basta. Nessuno pensi al futuro perché il futuro è già arrivato. Già da adesso, da sabato e poi ogni maledetta domenica (bel titolo pure questo no?): ci sarà soltanto un obiettivo visto che quest’anno se ne sono andati tutti: si dovrà giocare soltanto per la Roma. Anzi toglietelo quel “soltanto” che dà fastidio pure se è retorico: vi pare poco giocare per la Roma? Se qualcuno risponderà di sì, aria, la rivoluzione è come il vento. Anche questo è stato già detto.
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