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«Niente modestia: me l’aspettavo»

(Il Romanista – M.Macedonio) «Dico subito che me l’aspettavo. Anche perché credo di essere un pezzo di storia importante, per la Roma».

Redazione

(Il Romanista - M.Macedonio) «Dico subito che me l’aspettavo. Anche perché credo di essere un pezzo di storia importante, per la Roma». Stavolta non fa esercizi di falsa modestia, Giacomo Losi. E’ contento, l’ex capitano e “Corederoma”, per la designazione tra gli undici che compongono la prima delle squadre scelte dai tifosi per la Hall of Fame giallorossa, e se ne capiscono bene i motivi. «E’ una cosa bellissima, - dice – che, sia pure in parte, mi ripaga di tante amarezze vissute a suo tempo».

Una ferita che si è rimarginata a fatica, quella che infertagli al termine dell’ultima sua stagione, quella ‘68/’69, quando – dopo quindici anni di militanza e una storia esemplare come capitano, con tanto di record assoluto di presenze – fu messo letteralmente alla porta, con una lettera di formali ringraziamenti consegnatagli da un usciere, senza che nessun dirigente sentisse il bisogno di porgergli personalmente il proprio saluto.

Oggi, fortunatamente, è acqua passata. «Ho sempre avuto i tifosi dalla mia parte, e questo è stato per me motivo di grande consolazione. Ancora oggi, mi fermano per strada, giovani e anziani, per chiedermi l’autografo. Mi stringono la mano anche i laziali, dicendomi spesso “eri l’unico giocatore che invidiavamo alla Roma”. Forse è un motivo di soddisfazione anche questo. Credo insomma che il signor Losi, e “signore” me lo dico da solo, abbia dato tanto a questa squadra. Ed è bello che, oggi, ci si ricordi ancora di lui in questo modo». Una scelta, quella che lo ha visto prevalere sugli altri nomi della rosa, fatta anche da tanti giovani, che di Losi sanno attraverso le immagini su Internet o i pochi spezzoni televisivi, non avendolo mai visto giocare. Basti dire che, antecedenti a lui, negli “undici” di quest’anno, ci sono soltanto due mostri sacri come Bernardini e Amadei, mentre tutti gli altri appartengono a generazioni successive, più vicine nel ricordo di tanti. «Alcuni di loro (Tancredi, Bruno Conti, Pruzzo e Di Bartolomei, ndr) sono nati nell’anno, il 1955, in cui io esordivo. Altri, molto più tardi. Certo, è un dato significativo. So che molti ragazzi hanno sentito parlare di me attraverso i racconti dei padri o dei nonni. E anche questo è il segno che sono rimasto nella mente e nel cuore della gente. Mi dispiace semmai che nella squadra non ci siano tanti altri giocatori che pure l’avrebbero meritato. Penso, ad esempio, a tanti miei compagni. E ce ne sono stati di veramente forti».

Una coppia centrale difensiva, gli facciamo notare, formata da Losi e Aldair. «Niente male davvero. Mi sembra bene assortita. Io ero un marcatore implacabile e lui uno di grande qualità. E poi, quindici anni io, tredici lui, qualcosa vorrà pur dire. Penso infatti ad altri giocatori importanti. Uno su tutti, Vierchowod. Ha vinto, sì, uno scudetto, ma è stato qui un anno solo». Una notizia, quella dell’inserimento tra gli eletti del 2012, che gli è arrivata nei giorni scorsi. «Mi ha telefonato Franco Baldini, dicendomi “sei tra i più votati, mi raccomando, ti aspettiamo per i festeggiamenti”. Due o tre giorni fa mi è arrivato a casa il programma. So che ci sarà una festa a Trigoria e poi una all’Olimpico, prima di Roma-Atalanta, quando ci sarà la presentazione ufficiale».

Una celebrazione, gli ricordiamo, che prevede la consegna di una maglia “storica”, confezionata artigianalmente in due soli esemplari – uno per il giocatore e l’altro per la società – che lo rende particolarmente felice. «Basti dire che a casa ho una sola maglia con il nome. E non è una delle mie di un tempo, ma quella che mi regalò Totti quando superò il mio record di 386 partite con la Roma. E’ incorniciata, con la sua dedica e il mio numero, il 5. L’aveva fatta fare, alla maniera di quelle che portavo io, che non erano certo belle come quelle di oggi. Le nostre erano di lana. Anzi, era. Perché ne avevamo una sola, da usare per tutta la stagione, estate e inverno. Dovevamo conservarla nel miglior modo possibile, perché doveva durare tutto l’anno. Si lavava e si rimetteva. Guai se la regalavi! Non potevamo mica farlo! Tant’è vero che io non ne ho neanche una. Mi è rimasta solo la giacca della divisa dell’ultimo anno. Blu, con lo scudetto della Roma sul taschino, da portare con i pantaloni grigi. Ho solo quella, ed è anche un po’ scolorita dopo quarantatre anni. Ricordo invece bene la prima divisa. Ce le fecero fare nel ’56, in occasione della prima tournée che facemmo in Sudamerica. Con quella giacca, bella, doppio petto, ma di lana pesante, andammo prima dal Papa, Pio XII, e poi in Venezuela. Quando arrivammo, trovammo un caldo terrificante e ancora ricordo la sofferenza di tutti noi con quei panni addosso. Da aggiungere all’esperienza del viaggio. Era la mia prima volta su un aereo di quel tipo, un Super Constellation quadrimotore ad elica, con cui impiegammo forse trenta ore, e venti tappe, per arrivare fin laggiù».

La maglia della Hall of Fame servirà forse a mitigare anche quei patimenti. «Probabilmente, accanto a quella di tanti altri, a Trigoria ci sarà finalmente anche la mia». Proprio così. Complimenti, Giacomo