rassegna stampa roma

Maldera simbolo del calcio più bello

(Il Romanista – F.Bovaio) Tancredi, Nela, Vierchowod, Ancelotti, Falçao, Maldera?. Maldera con il numero 6 sulla schiena nonostante fosse il terzino sinistro? Già, proprio così, anche se quello era il calcio in cui c’era ancora la...

Redazione

(Il Romanista - F.Bovaio) Tancredi, Nela, Vierchowod, Ancelotti, Falçao, Maldera?. Maldera con il numero 6 sulla schiena nonostante fosse il terzino sinistro? Già, proprio così, anche se quello era il calcio in cui c’era ancora la bellissima usanza di mettere i numeri dall’1 all’11 che indicavano subito i ruoli di chi li indossava. Il terzino sinistro era il 3, lo stopper il 5, il libero il 6 e così via, con il centravanti che era il 9, il mediano il 4 e il fuoriclasse il 10. Per tutti era così, ma non per la Roma Campione d’Italia nell’83, nella quale Liedholm dava i numeri ai giocatori in base alle influenze astrali e ai consigli del mago Maggi e in cui Falçao era attaccatissimo al 5, che non avrebbe cambiato per nulla al mondo. Così in quella squadra lo stopper (Vierchowod) finì con il mettere il 3, il libero (Di Bartolomei) il 10 e il terzino sinistro, Maldera, appunto, il 6. Poi, una volta contro l’Avellino, Liedholm dette anche il 7 a Pruzzo perché riteneva che quel giorno avrebbe portato bene così, ma questa è un’altra storia. Torniamo a quella che stiamo raccontando e alla rivoluzione totale che quella Roma portò nell’ingessato calcio italiano di quei tempi, della quale uno degli artefici fu proprio Maldera, che sull’almanacco Panini veniva indicato anche come "Maldera III" perché i suoi due fratelli più grandi lo avevano preceduto nella carriera di calciatore. Segno che in famiglia al pallone davano davvero del tu. Dopo aver iniziato a giocare nell’hinterland milanese addirittura con l’intenzione di fare il centravanti venne messo a fare il terzino sinistro perché il suo piede preferito era proprio il mancino. Così quello che fino a pochi secoli prima veniva considerato il "piede del diavolo" per lui divenne quello della fortuna. Con quel suo sinistro magico tirava delle bordate micidiali e grazie ad esso si costruì una carriera di tutto rispetto, che lo portò a vincere tutto con l’amato Milan (la squadra di famiglia) e a giocare una decina di partite in nazionale in un periodo in cui l’Italia non ne faceva mica così tante come oggi. Poi fu la Roma, dove lo volle fortemente Liedholm nell’82 e con la quale vinse subito quello storico scudetto, entrando di diritto tra i miti giallorossi di sempre. In quella magnifica stagione segnò un gol su punizione in Roma-Pisa 3-1 dell’ottava giornata e un altro a Ipswich, in Coppa Uefa, che valse il passaggio del turno. Nella stagione seguente di gol ne avrebbe segnati ben 5: il primo proprio al suo vecchio Milan, gli altri all’Avellino, al Torino e al Catania, sia all’andata che al ritorno. Di tutti, però, resta indimenticabile proprio quello agli irpini, arrivato a fine partita e subito dopo il centro battuto pochi secondi prima da Falçao. Un gol frutto dello schema dettato dal brasiliano, che dal centro del campo fece chiaramente capire che con quattro passaggi la palla sarebbe dovuto finire proprio al buon Aldo, pronto ad andare in rete. Così fu e noi tutti esultammo con lui in uno di quei suoi momenti giallorossi che non avremmo mai più