(Il Romanista-G.Dell'Artri) Le cose più belle sono quelle che si conquistano con il tempo e con la fatica. Quella che si ottiene subito è spesso una gioia effimera. La solita storia della volpe e dell’uva? Non proprio.
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Luis Enrique: ieri, oggi e anche domani
(Il Romanista-G.Dell’Artri) Le cose più belle sono quelle che si conquistano con il tempo e con la fatica. Quella che si ottiene subito è spesso una gioia effimera. La solita storia della volpe e dell’uva? Non proprio.
(...) Lo sa quasi certamente anche Luis Enrique, uno che consce alla perfezione il significato della parola fatica e che, a scanso di equivoci, ogni tanto se lo vuole imprimere ancora di più nella mente con le sue imprese sportive extracalcistiche.
Non è pallone, è vero, ma uno che si è fatto la maratona del deserto o l’ironman non si ferma di certo di fronte all’amarezza seppur grande di un derby perso. E questo è forse l’aspetto che più deve far sperare in un riscatto della Roma da qui al termine della stagione e soprattutto nella possibilità di ben altre soddisfazione nella prossima. In fin dei conti è la nostra storia a dire che è sempre stato così. Ogni condottiero vittorioso (più o meno) ci ha messo tanto ad imporsi. Andando a ritroso nel tempo, è successo a Spalletti, che al primo anno arrivò quinto, è successo a Capello che prima di vincere dovette incassare un sesto posto ancora più amaro visto chi arrivò primo quell’anno. E’ successo a Eriksson, che iniziò con un settimo posto e poi arrivò ad un Lecce dallo scudetto. E’ successo persino al barone Liedholm, che la rincorsa tricolore la iniziò dal settimo posto.
Insomma, il futuro con Luis Enrique può ancora essere splendente. A patto che adesso lo spagnolo riesca a rimettere la barra a dritta. Risultati e gioco da qui alla fine per riprendersi i tifosi (non la squadra che è sempre con lui), un posto in Europa e per cacciare le voci di possibili sostituti per la prossima stagione (vedi Villas Boas) o possibili ritorni (Spalletti). O di una sua partenza per il Barça al posto di Guardiola (...). Solo voci, appunto. Perché Sabatini è stato chiaro «Luis Enrique non è stato mai in discussione, e non lo è neanche ora. Anche per il futuro sarà lui l’allenatore della Roma, se lui lo vorrà». E anche il tecnico prima della partita di Bergamo non aveva lasciato dubbi sulle sue intenzioni: «Se la società vuole, rispetterò il mio contratto fino in fondo e sarò contentissimo». Ma in quella occasione aveva anche spiegato che «Parlare di futuro nel calcio è un’utopia, il futuro non esiste. Vivo il presente».
E il presente dice Palermo e dice di una Roma da rivitalizzare. Per vincere qualcosa subito e molto di più il prossimo anno. Per questo, anche per questo, la squadra si è ritrovata ieri. A cena. Di nuovo. Come accade quando una famiglia ha bisogno di ritrovarsi, di rincompattarsi, di sentirsi ancora viva dopo uno schiaffone. Per rialzarsi. I giocatori - quasi tutti, qualcuno era assente giustificato - sono andati a mangiare a "Casa Novecento", un locale molto noto dell’Eur. Lo stesso, peraltro, dove la squadra era andata a cenare dopo la lite a Udine tra Osvaldo e Lamela (all’epoca, Daniel pagò per tutti). A guidare il gruppo a tavola è stato Totti. Come accadrà anche a Palermo. Come accadrà sempre. Con due gambe, mica una sola, classe e attributi. Quelli che mancano a chi straparla del Mito.
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