(Il Romanista) - La moglie e il figlio. Non poteva esserci più Agostino di così all’inaugurazione del campo che da ieri porta il suo nome.
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Luca: «A volte basta un Ago per ricucire qualcosa»
(Il Romanista) – La moglie e il figlio. Non poteva esserci più Agostino di così all’inaugurazione del campo che da ieri porta il suo nome.
«È un momento di grande commozione vedere questi bambini che saranno il futuro della Roma sfilare con il numero di Agostino - ha detto Marisa, moglie di Di Bartolomei -. Poi tanti amici vecchi e nuovi che sono confluiti qui a rendere omaggio ad Agostino e a far sì che il nome della Roma vada sempre avanti e portato avanti con quelli che erano i valori suoi e della Roma stessa. Nel corso di questi anni mi sono resa conto dell’affetto che è sempre stato immutato e che continua a essere manifestato sulla tomba di Agostino, con fiori, biglietti e sciarpe, in maggior parte della Roma ma anche di sportivi che riconoscono in mio marito valori che dovrebbero essere quelli di tutti. Perché non è stato ricordato prima? Non lo so perché, ogni cosa è giusta al momento giusto. Dovevano venire delle persone giuste e sensibili, belle e pulite come Agostino a fare sì che il suo nome continuasse e tornasse a casa nella Roma».
Quando parla di lui non lo chiama mai papà, ma Luca Di Bartolomei ha voluto innanzitutto ringraziare: «Grazie alla Roma, grazie a Walter, a Franco, a Daniele, a Francesco, alla nuova società. Grazie per essersi ricordati che Ago a Trigoria era di casa, grazie per avergli dedicato un campo su cui giocheranno tanti futuri capitani, tanti futuri campioni che spero riusciranno a ricordarsi di Ago anche con un pizzico di ironia. Siamo depositari di qualcosa che appartiene ai nostri figli. In questo momento mi mancano le parole, mi viene da dire che spesso per ricucire qualcosa a volte basta un Ago. Non posso non pensare alle tante volte in cui siamo stati colmati di affetto: da oggi esistono due campi che portano il nome di Di Bartolomei. Uno è questo, un altro è quello di Castellabate, un campo anarchico voluto da Marisa, sua moglie e mia mamma».
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