(Il Romanista - M.Macedonio) - «Arrivai alla Roma dal Genoa, quell’anno, giusto in tempo per l’inizio del campionato, a metà settembre». Parte dal ricordo di quella stagione, 1987/88, la nostra chiacchierata con Sergio Domini.
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«Roma dedica la vittoria a Lucho»
(Il Romanista – M.Macedonio) – «Arrivai alla Roma dal Genoa, quell’anno, giusto in tempo per l’inizio del campionato, a metà settembre». Parte dal ricordo di quella stagione, 1987/88, la nostra chiacchierata con Sergio Domini.
Centrocampista, classe ’61, è uno dei (pochi) giocatori che hanno vestito sia la maglia giallorossa sia quella bianconera del Cesena. E i cui ricordi, quindi, si legano con egual affetto a entrambe le squadre. Una partenza – gli ricordiamo – subito da titolare: alla prima giornata, ad Ascoli, dove finì 1-1 (gol di Boniek, ndr), e poi, alla seconda, all’Olimpico, proprio contro i romagnoli di capitan Agostino Di Bartolomei, che aveva appena chiuso la sua esperienza triennale al Milan. «E’ così. Con Di Bartolomei ci incrociammo quella ed altre volte, da avversari, ma non abbiamo mai avuto modo di giocare insieme. Arrivammo terzi, una posizione che in pochi si sarebbero immaginati ad inizio stagione, visto che c’erano squadre davvero molto forti. A un certo punto cullammo anche il sogno di andare più in là, magari anche primi, perché eravamo lì ad un passo. Poi però, perdemmo in casa con il Milan (che avrebbe vinto lo scudetto, ndr) e qualche altro punto decisivo. E, nonostante le ultime tre vittorie di fila, dovemmo accontentarci di quel terzo posto, dietro al Napoli, che non era poi così male come piazzamento. Che anno fu, per lei? Cominciamo col dire che l’ambiente di Roma è spettacolare. Credo che per un giocatore, al di là delle pressioni che può ricevere, sia davvero il massimo. E quello era davvero un bel gruppo, con ancora molti dei protagonisti dello scudetto dell’83. Per me fu una gradevolissima sorpresa perché, prima che in campo, erano campioni fuori. Ed è quando arrivi in un club come quello che ti rendi conto di cosa sia un campione. Tutte persone squisite, che mi hanno messo subito a mio agio, con un’accoglienza che non mi sarei mai aspettato.
Per non parlare di Liedholm, che mi aveva voluto in prima persona. Non meno di una ventina di presenze, nel ruolo di interno a centrocampo, che lo faceva essere sempre nel vivo del gioco, anche se con nessun gol all’attivo. Un’esperienza gratificante, non c’è dubbio. E non dimentichiamoci che quell’anno, poi, c’era un Giannini che andava a mille. Una squadra, quella, che era un buon mix tra giocatori d’esperienza e altri che volevano emergere e far vedere di che pasta fossero fatti. E’ anche grazie a questo che centrammo quell’obiettivo importante. Come tanti altri calciatori in passato, qualche anno dopo giocò per una stagione anche sull’altra sponda del Tevere. Fui molto indeciso al momento della scelta. La Lazio, tra l’altro, non era in quel periodo una squadra competitiva. Ciò che mi convinse non fu peraltro una questione economica, perché non cambiava di molto, quanto il fatto di tornare in quella città, che per me è straordinaria. Ne parlai con mia moglie e decidemmo che valesse la pena perché Roma è davvero fantastica. Veniamo a questo Cesena-Roma.
Devo dire che mi dispiace molto che Luis Enrique si sia dimesso. E’ una persona che, al di là delle doti calcistiche (che ci sono, anche se spesso ha perso per episodi sfortunati o per errori, anche pacchiani, di qualche singolo giocatore) mi ha colpito molto per le qualità umane. So che trattava tutti allo stesso modo, e questo specialmente a Roma è un fatto importante. Per me, uno come lui, nel calcio italiano, ci voleva. E ripeto, mi spiace molto che se ne sia andato. Come vede, ora, questo progetto in prospettiva? Penso che la Roma sia comunque sulla strada giusta. Ha fatto investimenti importanti, e altri, sicuramente, ne farà quest’anno. Se riuscirà a trovare altri giovani validi e promettenti, da far crescere pian piano, credo che il progetto si rivelerà vincente. Perché Roma è una piazza importante ed è giusto che ambisca a traguardi importanti. Certo, servono i risultati, perché per i tifosi contano soprattutto quelli, ma con un po’ di pazienza si può davvero costruire qualcosa di serio e duraturo. Sono ottimista e fiducioso. Anche perché sono rimasto legato a quei colori, benché abbia avuto belle amicizie anche sull’altra sponda. Ma la Roma è stato il mio primo palcoscenico in serie A e una società che mi ha dato tanto.
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