rassegna stampa roma

«Ora vinciamole tutte E Totti non si discute»

(Il Romanista – M.Macedonio) Vorrebbe una Roma che, a volte, imparasse anche ad accontentarsi del singolo punto. E soprattutto, facesse della continuità di rendimento, e di risultati, il primo obiettivo da raggiungere.

Redazione

(Il Romanista - M.Macedonio) Vorrebbe una Roma che, a volte, imparasse anche ad accontentarsi del singolo punto. E soprattutto, facesse della continuità di rendimento, e di risultati, il primo obiettivo da raggiungere.

Quanto alle critiche verso il capitano, è netto: «Non spreco il mio fiato (...) con chi si permette ancora di discuterlo». Parla da tifoso, Ruggiero Rizzitelli, e (...) non si dà pace di fronte a prestazioni in cui la squadra sembra metterci tanto del suo in quel non riuscire a portare a casa punti importanti. «Se guardiamo al primo tempo della partita di Milano (...) ho visto una Roma attenta in difesa, che ha fatto soffrire il Milan e che con le sue ripartenze è stata capace di andare anche in vantaggio. Poi, però, quando si è scoperta, come è accaduto nella ripresa, si è inevitabilmente esposta ai rischi che l’hanno portata a perdere la partita».

Una Roma che o vince o perde. Ne sono la riprova i 5 pareggi in 29 gare. Per carità, l’atteggiamento è quello giusto, perché fa bene, la squadra, a cercare sempre la vittoria. Ma, qualche volta, bisogna anche sapersi accontentare. In questo momento, serve anche quello. Dopo la vittoria in casa con il Genoa, ho sentito Luis Enrique dirsi detto scontento perché “così non si gioca al calcio”. A mio parere, invece, è comunque importante fare risultato - e in quel caso erano tre punti incamerati - soprattutto se si vuol puntare ad un piazzamento ai fini Champions. E per farlo, servono i punti. E non lamentarsi o darsi le martellate, solo perché il gioco vuole che si debba sempre attaccare. Perché così facendo, magari, si perdono posizioni. E se ci si gioca la qualificazione alla Champions o anche all’Europa League, sono milioni di euro buttati via. Questo lo devono sempre aver presente, gli allenatori.

Dicevamo dei cinque pareggi, a fronte di tredici vittorie e undici sconfitte. Ecco, sarebbe bastato che anche solo il 50 percento di quelle sconfitte si fosse tramutato in un pareggio, perché oggi, con 5 o 6 punti in più, la squadra potesse essere lì, a giocarsela tranquillamente per il terzo posto. Senza l’assillo di dover vincere per forza tutte quelle che restano. Perché se vuoi riprendere la Lazio, che è tornata a precederti di 7 lunghezze, è ovvio che tu non possa quasi più permetterti di perdere altri punti. In quella posizione di classifica, poi, avresti avuto anche una spinta in più per vincere ancora.

La conferma, mi sembra di capire, che a volte si sbaglia nel dire che il singolo punto non serve a nulla. È proprio così. Perché nell’immediato sembra non contare niente, ma alla lunga può essere proprio quello a fare la differenza. In campionati in cui, tanto la salvezza quanto lo scudetto o l’accesso nelle coppe sono decisi quasisempre da uno, due o tre punti, è chiaro che il rimpianto per quelli persi per strada rischia di essere grande.

Che Roma hai visto a Milano? Nel primo tempo mi sono detto che era stato bravo, Luis Enrique, a interpretarla in quel modo: ovvero attendendo il Milan e ripartendo. Perché, se gli dai spazio, giocatori come Ibrahimovic possono davvero farti male. E la Roma - al di là della traversa di Muntari, che fa comunque parte del gioco - non aveva sofferto affatto. Com’era successo già con il Genoa, aveva i due esterni che andavano avanti a turno, perché uno restava, e si sa che quando si difende in quattro o cinque è più facile per tutti, anche per gli stessi difensori. Poi, quando ha preso il gol del pareggio e ha scelto di sbilanciarsi, si è esposta troppo. Anche volendo lasciar stare l’errore di Kjaer, la squadra è stata troppo alta, e a uno come Ibra non puoi concedere quegli spazi. Quello che fa rabbia, a noi tifosi, è che si continui a sbagliare, commettendo sempre gli stessi errori.

Si è più volte ricordata la statistica in base alla quale se contassero solo i primi tempi, la Roma sarebbe in testa, o quasi, alla classifica. E’ un problema di testa o di tenuta fisica, questo calo che le ha fatto perdere ben 11 punti nei secondi tempi? Se costringi la squadra a giocare sempre alta, il rischio c’è, alla distanza, di subire gol. Perché se tu fossi come il Barcellona, che ne segna sempre 4 o 5, poco importerebbe prenderneanche un paio. Ma questa squadra, al contrario, non concretizza o la fa molto poco. E se tu ne segni uno, ma ne prendi due, è normale non vincere le partite. Penso a Zeman, che diceva sempre di non essere interessato ai gol che subisce, perché è importante farne “uno più dell’avversario”. Ma lui lo fa. Vince spesso per 4-3, 5-4 o 3-2. A volte perde anche per un gol, ma è fuor di dubbio che le sue squadre i gol li facciano. La Roma, invece, fa fatica a farli e ne incassa parecchi. Ed è per questo che mi era piaciuta nelle ultime due partite, in cui aveva vinto per 1-0, essendo soprattutto molto più accorta in difesa. In Italia, del resto, gli allenatori vivono molto sugli errori dell’avversario. Allegri, nei giorni scorsi, aveva detto “Luis Enrique è furbo, perché ha capito che ci si deve anche difendere”. Non l’avesse mai detto! Enrique ha subito voluto smentirlo. E nella ripresa ha praticamente fatto il gioco del Milan. Che appena hai sbagliato, ti ha fatto secco.

Restano nove giornate, con un calendario tutto sommato favorevole. Cinque partite in casa, comprese quelle contro Napoli e Udinese, e quattro fuori, con la sola trasferta di Torino realmente difficile. Come vedi questo finale di campionato per i giallorossi? Il problema della Roma è la continuità. E un pareggio con il Milan avrebbe voluto dire tanta roba. Perché un punto a San Siro con la prima della classe vale come una vittoria. Anche ai fini psicologici. Oggi si scatenano le critiche, anche per come hai perso, mentre se fossi uscito con un risultato positivo, chapeau! I ragazzi si sarebbero gasati, in una giornata in cui ha vinto solo la Lazio e avresti mantenuto le distanze dalle altre. Dopo una sconfitta, invece, si deve ripartire, anche nel morale, con la solita accusa della mancanza di continuità. Per ritrovarti, magari, alla fine dell’anno, a rimpiangere i punti persi qua e là.

Una sconfitta, quella di Milano, che in città ha fatto subito riaccendere le critiche nei confronti di Totti. Sono anni, purtroppo, che il capitano viene messo sotto accusa. Quante volte ne abbiamo parlato! Se non c’è, perché non c’è. Se gioca, perché gioca… Lo sappiamo: Francesco, da sempre, è il giocatore che fa discutere, anche quando si allaccia le scarpe durante la partita. È vero, sabato ha fatto lo “scavino”, ma – come ha detto anche Luis Enrique – dopo, siamo tutti bravi a parlare. Quante volte, con il cucchiaio, ha fatto gol, e tutti lì a gridare “Totti, Totti!”. Sabato non è andata bene. Tutto lì. Punto. Ma da qui a dire che il problema è lui, è inammissibile. Basti dire che quando non giocava, la Roma perdeva. E che quando gioca, invece, la Roma non perde quasi mai. I numeri parlano chiaro. E con uno che contesta Francesco, non ci parlo nemmeno. Come si suol dire, non spreco il mio fiato.