(Il Romanista - M.Macedonio) Non ha preferenze, Massimo Ghini, per la panchina della Roma del prossimo anno. Si augura solo che chiunque venga ad allenare la squadra, sia messo nella condizione di poter lavorare al meglio. Perché si dice stanco della “inutilità di tante discussioni”.
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«No allo stillicidio dei tecnici»
(Il Romanista – M.Macedonio) Non ha preferenze, Massimo Ghini, per la panchina della Roma del prossimo anno. Si augura solo che chiunque venga ad allenare la squadra, sia messo nella condizione di poter lavorare al meglio. Perché si dice...
E degli attacchi, strumentali, rivolti verso la società da parte di chi non accetta il cambiamento, e che nascondono solo “meri interessi personali”. E’ un Ghini che non nasconde il proprio scoramento, al termine di una stagione che avrebbe potuto avere un esito diverso, ma anche un senso di disorientamento. «Ammetto di essere in uno stato confusionale totale (...). Pur nelle difficoltà che sappiamo, infatti, il progetto, con Luis Enrique, aveva un senso. Che voleva dire aver scelto determinati giocatori, ma soprattutto una filosofia di calcio e vorrei dire anche di vita. Oggi, invece, mi sembra quasi di tornare indietro. O meglio, lungi dal voler discutere della qualità di persone come Zeman, che amo sopra ogni cosa, o Montella, al quale mi lega un rapporto di conoscenza personale e amicizia sincera, ho bisogno di capire dove si voglia andare. So solo che c’è un patrimonio, in termini di calciatori, e quindi di squadra, che oggi vorrei sapere chi potrebbe amministrarlo. E in che maniera. Nei confronti dei nomi che sono stati fatti provo ovviamente stima: Zeman ha fatto qualcosa di unico al mondo, e Montella ha dimostrato qualità e intelligenza. Mi sono però stancato di assistere a questo continuo stillicidio di allenatori a Roma. Se si pensa che da qui non abbiamo mai mandato via nessuno, ma se ne sono sempre andati di propria iniziativa, ce n’è abbastanza per riflettere, tutti noi, su ciò che accade in questa città. Dove, una volta per tutte, dobbiamo cercare di crescere, in tutti i sensi. Non mi piace vedere che, anche per colpa di certo ambiente, in una società come la Roma non ci sia mai modo di costruire nulla».
Vuota il sacco.Cosa che non sopporti più?«Ieri sentivo per caso una radio, e dico apposta per caso, perché non ne posso davvero più di ascoltarne. Ne ho ricavato che il “massacro” ora è sui soldi, ovvero se ci sono o non ci sono. Se possiamo spendere oppure no. E mi sembra tutto inverosimile. Perché credo che troppo facilmente ci si dimentichi che questo Paese è in crisi come poche altre volte in passato. Temo che in questo ci sia il non voler aiutare tutti quanti a riflettere di più. Sentivo questo piagnisteo su “c’abbiamo solo trenta milioni, forse quaranta…”. Ma che significa? C’avremo quello che c’avremo. Come se, al posto di chi c’è, ci fosse già qualcuno pronto, dietro l’angolo, a mettere tutti i soldi che vogliamo. Magari “Giuseppone”, con cento milioni da spendere, così, sull’unghia. Non sopporto più questo continuo dare addosso alla società con l’intento di dimostrare che chi la dirige “non è quello che dice di voler essere”. Quest’anno, l’abbiamo visto: i soldi sono stati spesi, ma non andiamo in nessuna coppa. E allora, qual è quell’imprenditore che viene e dice: “Quanto serve? Ecco i soldi…». Non c’è. E allora, vorrà dire che faremo con quello di cui disporremo. Tutto ciò per dire che mi sono stancato dell’inutilità di tante discussioni. Perché se questo nasconde l’insoddisfazione delle persone, che viene scaricata sul calcio, come se questo fosse la panacea di tutti i mali, allora dico basta, non se ne può più. Se viene Vincenzo, o Zeman, o Villas Boas, o chiunque altro si voglia, dobbiamo lasciarlo lavorare. Luis Enrique aveva probabilmente le carte per farlo. Non se l’è più sentita ed è scappato, come quasi tutti quelli che l’hanno preceduto. Peccato».
Al di là delle sue responsabilità,il tecnico ha pagato probabilmente anche colpe non sue.«Ho sempre detto che l’anno è andato com’è andato, con tutta la sfiga che ci ha colpito. Togliendoci i due centrali titolari, perché Burdisso si è rotto subito, mentre per Juan sono state più le partite non giocate che quelle giocate… Tutto questo è servito ad alcuni per muovere solo critiche, dietro alle quali credo ci sia stato solo un atteggiamento strumentale. Dovuto al fatto che questa società ha cambiato direzione. Che una fetta di tifoseria, ma anche parte della carta stampata, non hanno accettato, scegliendo di contestare il cambiamento che c’è stato. Ovvero quel diverso modo di mettersi in relazione tra società e squadra e tra la società e la città. Ma solo per meri interessi personali. La macchina del fango che si è mossa, o almeno ha provato a farlo, nei confronti di Franco Baldini, ne è la riprova. E da questo punto di vista, mi è sempre piaciuta la fermezza del Romanista nel denunciare certi comportamenti ».
Come se ne esce? «Amo questa squadra, e spero sempre, ogni mattina che mi sveglio, che si sia risolto il problema. Capisco pure che abbiamo fatto contenti quelli che dicono “l’avevo detto io…”. La verità è che, per mille motivi, tutti giustificabilissimi quando ci si trova a costruire qualcosa ex novo, si è fatta una campagna acquisti magari incompleta. Avendo poi il giocatore che si infortuna o quello che non ha reso come avresti sperato. Ma sono cose da mettere in conto. E invece, è partito l’odio e la caccia all’uomo… ».
Dicevi del patrimonio da cui ripartire.Giovani come Pjanic,Lamela,Bojan… «Sì, anche se alcuni di loro, a un certo punto, si sono un po’ persi. Ma dobbiamo capire che ci sono decisioni anche storiche da prendere in questa squadra. Ovvero, se giocare con certi giocatori o voltare pagina. Cosa che toccherà fare, prima o poi. Senza andare avanti con il solito “o sei con me o sei contro di me”. Perché è una tragicommedia che non porta a niente».
Quale sarebbe, quindi, la scelta migliore tra i tecnici di cui si parla? «Senza entrare in nessun toto-allenatori, mi aspetto che chi verrà, possa essere legato da un contratto che gli permetta di lavorare. Nel tempo, e senza pressioni».
Ogni tecnico però ha una sua fisionomia,che vuol dire un modo di giocare ma anche precise scelte sul mercato.Laddove fosse Montella, come giudicheresti il suo arrivo? «Il discorso è sempre quello. Vincenzo ha potuto esprimersi al meglio a Catania, perché si è trovato in una città di provincia, in cui tutto ciò che arriva è anche tutto di guadagnato. E, soprattutto, che consente a ogni tecnico di svolgere il proprio lavoro con più respiro e tranquillità. Se viene qui, deve poter lavorare, senza essere sottoposto ogni settimana ad un processo alla tappa».
E’ anche vero che Vincenzo conosce bene questo ambiente e c’è da credere che,essendo più freddo e meno emotivo di Luis Enrique, difficilmente, e al contrario di altri, lascerebbe di propria iniziativa… «Diciamo che questo lo aiuta. Se venisse, sarei felice innanzitutto per lui. Anche perché gli sono legato da un’amicizia personale. Mi tengo caro a casa un suo regalo, una maglietta dell’anno dello scudetto, che ho indossato anche la sera dei festeggiamenti. E proprio perché gli voglio bene e lo stimo, dico: patti chiari con tutti: fatelo lavorare! E se anche non approda a nulla il primo anno, non fa niente. Fiducia e ancora fiducia. Vincenzo, se viene, lo fa per fare il bene della squadra, dei tifosi, e di tutti noi. E va quindi sostenuto. Altrimenti, per l’ennesima volta, non si andrà da nessuna parte».
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