(Il Romanista - M.Macedonio) «Non mi era mai capitato. Né a Roma, né in Brasile, né altrove » confessa Juan al termine della gara.
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E Juan zittisce i razzisti
(Il Romanista – M.Macedonio) «Non mi era mai capitato. Né a Roma, né in Brasile, né altrove » confessa Juan al termine della gara.
Non riesce quasi a capacitarsi, il difensore brasiliano, del perché di quei “buu” razzisti rivolti verso di lui. Eppure, una spiegazione c’è. E c’era forse da aspettarselo, come aveva ben messo in preventivo, nei giorni scorsi, lo stesso presidente della Comunità Ebraica Romana, Riccardo Pacifici, sulle pagine del nostro giornale. E la conferma, indiretta, viene dalle stesse parole di Juan. «Proprio oggi che eravamo tutti entrati in campo con quella maglia di condanna verso il razzismo! C’è davvero gente che non capisce niente» dice, con quel tanto di incredulità che non è difficile attribuirgli. Perché è così che in effetti si era aperto il derby. Con le due squadre che, all’ingresso in campo, aveva indosso una maglietta bianca con su scritto “Roma e Lazio contro il razzismo”. Un’iniziativa promossa dal Romanista, allo scopo di dire per l’ennesima volta “Basta!” ad ogni forma di discriminazione sociale, ivi compresi l’antisemitismo e la xenofobia, e che aveva visto nel presidente dell’Assemblea Capitolina, Marco Pomarici, il primo a farsene portavoce, insieme all’Assessore della Comunità ebraica, Ruben Della Rocca, presso il consiglio comunale e le due società, che hanno dimostrato tutta la propria sensibilità riguardo a questo tema. Con tanto di conferenza stampa che, alla vigilia del derby aveva visto riunire in Campidoglio Fabio Simplicio e Christian Brocchi, così come Walter Sabatini e Igli Tare.
Ecco, è stato proprio l’aver voluto ribadire, in maniera così ferma e autorevole, quel messaggio di civiltà, da parte delle due società e degli stessi giocatori, che ha fatto sì che qualcuno – gli stessi di sempre, quelli che non possono ad alcun titolo dirsi “tifosi” e neanche “persone” – si sentisse in diritto di rispondere a modo suo. Ovvero, nella forma più idiota e becera che si conosca. Insultando un giocatore, perché di colore. «Mi dispiace – ha continuato Juan, quasi scusandosi. – Voglio sottolineare il mio rispetto per tutti i tifosi della Lazio. Se ho fatto quel gesto verso di loro (un cenno a zittirsi, ndr), è perché ho sentito quei “buu”. E mi dispiace più per loro che per me». Non sono tifosi, gli dicono. E soprattutto, ancora una volta, sono stati isolati. Anche in campo. Dove il brasiliano ha ricevuto da subito la solidarietà, sia dei compagni come degli avversari. A cominciare da Daniele De Rossi, che lo ha subito abbracciato e incoraggiato. «Sì. E lo hanno fatto anche quelli della Lazio, almeno quelli che conosco, penso a Klose, Dias e Matuzalem. Durante la partita ho parlato con alcuni di loro, che mi hanno detto di stare tranquillo. Peccato. Questo derby è bellissimo da giocare e mi spiace vedere che ogni volta accadono cose che influiscono sull’evento e vanno al di là del fatto sportivo. Come si è comportato Bergonzi nella circostanza? Non lo so, ero preso dalla partita. L’arbitro ha parlato con Mauri, ma capisco che per lui fosse difficile».
Un’offesa alla città, che (...) “non merita tutto questo. Perché Roma è una città libera, indipendente e appartiene a tutti”. Il consigliere aveva anche invitato Roma e Lazio ad un viaggio nella memoria ad Auschwitz e Birkenau (“Sarebbe un’esperienza di vita”, aveva infatti aggiunto). Su quegli ululati provenienti dalla Nord ha voluto comunque dire la sua, in sala stampa, anche Luis Enrique. Che a chi gli chiedeva se non sia giusto, in questi casi, interrompere la partita, ha risposto: «Non si giocherebbe mai. Mi dà molto fastidio che accada. Anche se è qualcosa che succede anche all’estero. E’ così non solo in Italia, ma anche in Spagna e in altri paesi europei. Di certo, noi tutti dobbiamo continuare a combattere contro questo. Non credo che la soluzione sia interrompere la partita. E non so neanche se c’è, purtroppo, una soluzione».
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