rassegna stampa roma

E alla fine il nostro 3 varrà di più

(Il Romanista – G.Manfridi) – In curva impera l’assurdità, c’è chi lo dice…«Magari in dieci, chissà…»  “Chissà che cosa?” «Magari tutto cambia!». E’ il delirio dell’eterno ottimista.

Redazione

(Il Romanista - G.Manfridi) - In curva impera l’assurdità, c’è chi lo dice…«Magari in dieci, chissà…»  “Chissà che cosa?” «Magari tutto cambia!». E’ il delirio dell’eterno ottimista. Quello lo dice, nessuno ci crede. Però intanto l’ha detto e il virus della speranza è mantenuto in circolo. Per quattro minuti. Dopodiché, l’eterno ottimista si ritrova alla gogna. Messo in ceppi da se stesso: le cose non cambiano, ma si confermano. E’ l’induzione alla resa. Pierino Wome, camerunense del ’79. Neanche vent’anni. Un giocatore di quelli che vengono definiti di quantità e non di qualità. Beh, non così è stata la sua prestazione del 29 novembre ’98. Quel che avrebbe dovuto risultargli difficile come giocatore di qualità l’ha fatto - nel primo tempo, il sontuoso tracciante per Del Vecchio - mentre il giocatore di quantità entra brutale su Salas, lo stende ed è rigore. Lo stende nel senso che proprio lo asfalta. Lo sdruma. Farina di Novi Ligure indica il dischetto. Chimenti calpesta la linea di porta e divarica le gambe guainate dai calzoni della tuta, Salas si prepara. Massiccio folletto di una squadra forte. Si china facendo rollare la sfera tra le palme aperte e la deposita sul cerchio di gesso. E’ il protocollo micidiale dell’esecuzione. Nulla può essere evitato. Cerco di rievocare qualche rigore parato da "Zucchina". Me ne viene in mente uno col Lecce dopo un’espulsione di Konsel.

Quest’oncia di speranza è un aggravio di tortura che si dilata al massimo per tutto l’iter dell’attesa che dura sino allo sfinimento. Nedved se ne sta girato spalle alla porta. Preoccupato. Lui. Figurarsi noi! Altri secondi di paralisi collettiva, poi il fischio. Un frullo. Una scossa. Tutto  si muove in modo repentino…il cileno spara una botta di sinistro che, sullo slancio della pedata, lo solleva totalmente in aria. Si accascia invece dalla parte opposta Chimenti, incapace di farsi palo come Favalli al decimo del primo tempo. In certi casi, il 15% delle possibilità vale solo il 15%. La rete freme e si ricompone come un sipario che sia stato richiuso su di noi, sui nostri sogni di quella domenica sera, e sull’illusione che la trafila delle disfatte una appresso all’altra potesse avere termine. Non bastasse, al 29’ ne arriva un quarto. Di Stankovich, il romanista mancato. Traversone di Nedved, il serbo irrompe dalle retrovie, la schiaccia di testa e la insacca sotto la traversa. Fronte, terra, traversa, rete. Noi imploriamo l’arbitro: «Ti prego, annullalo!» Non si sa perché, ma lo imploriamo, e la nostra preghiera, non si sa perché, fa avvenire il miracolo. Farina, non si sa perché, annulla. Poi un perché emerge e tutti quanti lo assumiamo a certificazione di legittimità. Al momento in cui è partito il cross di Nedved, infatti, non risultava chiaro se il pallone fosse destinato a un qualche laziale in evidente fuorigioco, o piuttosto a Stankovich, in posizione regolarissima. Di conseguenza, infatti, il guardialinee ha pensato bene di affrettarsi a sbandierare e l’arbitro ha pensato bene di dargli retta.

Tutto come prima. L’onta del corpo di Ettore strascicato attorno alle mura di Troia dalla biga del disumano Achille ci è quantomeno evitata. A un quarto d’ora esatto dal termine, appena un minuto dopo l’atto di misericordia che ci ha benificato, Del Vecchio segna di piatto in mischia. Segna facile. Lui, nella mischia, era quello più avanti di tutti. E da prima di tutti. A quel punto, non c’è uno di noi che non abbia avuto l’impudenza monumentale di implorare un’altra volta Farina manco fosse una madonna …«Ti prego, daccelo!». Sì, lo vedo da me che è un fuorigioco chilometrico, ma tu che puoi, daccelo lo stesso! Tu che puoi!... Capite il senso di questo ‘tu che puoi’? Come dire: fosse per me, io sarei onesto, me lo annullerei… ma tu che puoi non esserlo, fa’ in modo di non esserlo e daccelo lo stesso! Non ce lo dà. I meno audaci già iniziano ad abbandonare gli spalti salutati dai laziali che a dita divaricate gli fanno il segno del cinque. Ciao, bello… ciao! Treantaquattresimo, sei minuti dopo, fallo laterale dalla sinistra battuto da Wome, Totti si aggiusta la palla in area e la passa all’indietro. Nedved, un metro alle sue spalle, intercetta ma non controlla. Con un balzo da saltatore di ostacoli si inserisce Di Francesco che butta in avanti la gamba destra, più in avanti il piede, e più in avanti ancora la punta del piede…è il classico gol che vedi fatto senza aver capito come sia stato fatto. Sta là. Non l’hai capito tu, non l’ha capito il portiere, che si ritrova con la palla incastonata in un punto della porta dove lui, volendo, avrebbe potuto arrivare benissimo, eppure…la vede dentro e non sa come sia successo. Sta là. E’ un gol commovente! Malgrado sia il gol del due a tre, ha il sapore del gol della bandiera, e i gol della bandiera sono sempre commoventi. Sarà per il poco tempo che ci separa dal 90’, sarà per l’inferiorità numerica, ma la curva, pur rianimandosi, lo fa senza crederci troppo.

E’ fomentato il tifo, non più di tanto la speranza. Intanto, però, Eusebio festeggia. Dissennatamente. Non come festeggerebbe uno che abbia segnato il gol della bandiera. Tutti i gol sono sempre perfetti. Tutti. In fondo, cosa si può chiedere a un gol più di consistere in un pallone che supera la linea della porta avversaria? Niente. Molti gol, per essere tali, hanno addirittura l’obbligo di di mostrare l’evidenza dell’imperfezione che li genera. Hanno bisogno di essere brutti. Come quello del 3 a 3 segnato da Totti al 37’…un errore che copula con un altro errore. Fase di gioco confuso nella metà campo loro. La difesa laziale, in possesso di palla, induce il portiere ad avanzare ma ci si mette di mezzo Del Vecchio che in scivolata la spizza verso Totti, oltre il limite dell’area, dalla destra verso l’interno. Marchegiani vagola spaesato. Non si sa come, scivola e ce lo ritroviamo ad annaspare tra le zolle. Il Capitano avvia la procedura del gol, brutto e perfetto, con un tocco sguincio schiacciando di piatto destro il pallone che gli arriva sollevato di una spanna sopra il pelo dell’erba. L’impatto strozzato impone alla sfera una sorta di rimbalzello facendola impennare in una traiettoria lenta e bassa sufficiente a superare il guantone proteso del portiere che neppure la sfiora e ricasca poco più in là ballonzolando lemme lemme sino in fondo alla rete come al fondo di una cuccia. Tre uguale tre. Un’equazione in cui alla fine il nostro tre varrà di più. E non solo in quanto nostro. I minuti che avanzano ce ne spiegheranno il perché.