rassegna stampa roma

De Rossi, il Mare di Roma e di nessun altro

(Il Romanista – Il mare di Roma di T.Cagnucci) – Quel ramo del lago di Como… è un bell’inizio ma anche un anagramma che per ogni romanista è il principio di un altro romanzo. Fatelo: ramo-Roma, lagogoal, Como resta Como e le...

Redazione

(Il Romanista - Il mare di Roma di T.Cagnucci) - Quel ramo del lago di Como... è un bell’inizio ma anche un anagramma che per ogni romanista è il principio di un altro romanzo. Fatelo: ramo-Roma, lagogoal, Como resta Como e le preposizioni danno il la: Quel goal della Roma a Como...

La vita di ogni romanista è cambiata per sempre da quel momento, da quando Paulo Roberto Falcão ha dato il la giocando la sua prima partita nel campionato italiano. Era il 14 settembre del 1980. A Como. La Roma vinse 1-0 per un’autorete nel primo tempo di Volpi. Minuto 25. Natale. Dopo quell’esordio nulla fu come prima: intere generazioni di romanisti vennero educate all’arte da un calciatore sbarcato a Fiumicino, accanto al mare, direttamente dal sole, tanto era luce. Arrivarono le Coppe in una città povera di vittorie, magliette bellissime, insieme antiche e nuove, vinaccia e porpora, indossate anche dai ragazzini sui sampietrini abituati da sempre a stracci e bandiere care e sgualcite. Era una Roma che tornò colta e bella, era la città di un’altra società che credeva di avere ancora molto da sognare: la Roma stava dappertutto.

Da quel momento contro il Como in trasferta in serie A con la Roma ci ha esordito soltanto un altro giocatore: Daniele De Rossi, il 25 gennaio 2003. C’era la notte quel sabato sera, non perché era inverno, ma per far vedere meglio quel ragazzo biondo. Non aveva nemmeno vent’anni, lui che è nato quando tutto venne alla luce: d’estate. Nel millenovecentottantatré. Campo neutro di Piacenza, ma Como-Roma in schedina, negli almanacchi, nella storia. La sua stava ufficialmente per iniziare: quel giorno la Roma non segnò, ma soltanto perché De Rossi avrebbe dovuto aspettare un altro momento, un altro segno del tempo: un 10 maggio, che non pioveva ma c’era il sole, in un Roma-Torino finito 3-1. Magici appuntamenti del destino. Déjà-vu di Dio. Un doppio sogno. (...)

Quel pomeriggio fu proprio Guardiola a comunicarglielo: «Giochi tu, Daniele», nello stesso giorno in cui era stato deciso l’addio del catalano alla Roma. Investiture. Se, insieme a Pier Paolo Pasolini, Paolo Roberto Falcão è stato il più grande pensatore del Novecento, Daniele De Rossi è tutta l’energia che manca a questo secolo spento, l’unico antidoto alla crisi: una specie di fresco sopravvissuto, un nato vecchio, un saggio punk, un viaggio a Mompracem e il rifugio domestico, stornelli e Metallica, lui che sull’Ipod sente R&B e Lando Fiorini, sintesi riuscita di ragione e sentimento. Certi grandi uomini si riconoscono subito per un marchio di natura: Falcão lo era dalla fronte alta (ci si specchiavano il sole e la luna, nei pomeriggi o nelle serate di Coppa), Daniele De Rossi per quel biondo sfacciato e lucente dei capelli. (...)

Lui è il Frank Sinatra della foga. Non è mai banale pure se il suo compito è quello di cucire, tessere la tela, fare la grammatica, non cercare l’acuto, il do di petto, il salto carpiato in alto. Fa i ricami con l’utile, è surplus reinvestito per la Casa del popolo. Sa spolverare in frack, lui nato per essere un re popolano. È fresco e spigliato come una promessa di partenza su una mongolfiera alla Verne, o un video notturno degli Smashing Pumpkins, eppure è sinceramente umile, sa di pane, della domenica Diamante cantata da Zucchero, colloquiale come il vociare nei pomeriggi della Toscana, di un tramonto placido senza retorica sin dalla preistoria. Daniele De Rossi è un’intera giornata di vita, tra divertimento e fatica. Per lui vale ciò che scrisse il filosofo tedesco Martin Heidegger nell’analisi di un quadro di van Gogh che raffigurava delle semplici scarpe da contadino e che lo portò alla formulazione delle categorie di Terra e Mondo. Non è né più, né meno che una descrizione. Al posto di quelle scarpe immaginate gli scarpini di De Rossi. Eccole. Eccoli: …Della calzatura è concentrata la durezza del lento procedere lungo i distesi e uniformi solchi del campo, battuti dal vento ostile. Il cuoio è impregnato dell’umidore e dal turgore del terreno. (...)

Questo mezzo appartiene alla Terra e il Mondo della contadina lo custodisce. Terra e Mondo. Se Paulo Roberto Falcão è stato il più grande giocatore della storia del calcio senza palla, cioè senza Mondo, Daniele De Rossi è quello più a contatto con la Terra: il campo, il sudore, l’erba, il fango. Lui è diga e fiume, l’interfaccia della Roma che sta qua e là, chiude e apre, segna e sogna. Art-attack. Daniele De Rossi è veramente come un’opera d’arte che sa ancora parlare al cuore ogni volta che lo vedi. La versione ultras della sindrome di Stendhal. I tifosi che lo guardano provano gli stessi sentimenti che provavano venti-trent’anni prima; i figli le stesse sensazioni dei padri e i padri quelle dei loro padri, com’è scritto nella lettera di Fabrizio. È così dall’inizio. La Roma era dappertutto quando è nato Daniele De Rossi. Era sulle prime pagine del «Corriere della Sera» e di «Repubblica». (...)

Ho visto una spalla rotta di Losi diventare la spalla per tutti i tifosi della Roma. E un cuore. Il più grande che ci possa essere. E ho visto la Juve prendersi i nostri scudetti. Ho visto immaginandola cadere nel verso giusto la monetina col Gornik, la sigla di Fantasticoa colori, Grazie Romapresentata a Domenica in..., il Lecce, la sostituzione Ciucci-Negretti, l’errore di Bonetti, l’esodo a Pisa, un tempo di partita più una sintesi sulla Rai, Roma-Modena dentro Ladri di biciclette, vite e profumi di quartiere, lo stadio sempre pieno...». Insomma tutte quelle cose che noi romanisti abbiamo visto e che gli altri non possono nemmeno immaginare, noi che «quel 30 maggio eravamo in Curva Sud abbracciati alla Roma e guardavamo il mondo dalla cima di un’emozione che tutti gli altri non potranno scalare mai». Daniele De Rossi tutte queste cose le sa. Gli arrivano da molto lontano, anche prima di quel goal della Roma a Como.

È da sempre che sono promessi sposi: Il mio amore per la Roma nasce prima di aver cominciato a giocare in questa squadra, e lontano da questa squadra io non mi ci vedo Non sarei altrettanto felice a giocare con un’altra squadra, che la Roma compri o non compri campioni. Io gioco per la Roma, non per la società. Non sapete Roma che significa: la Roma è un orgoglio.