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Da Cardarelli ad Ancelotti, i ritorni dei leoni

(Il Romanista – M.Izzi) – Forse i ritorni che stupiscono di più sono quelli dei tempi eroici, negli anni 30, per intenderci un menisco poteva essere “merce” più che sufficiente per chiudere la carriera di un atleta.

Redazione

(Il Romanista - M.Izzi) - Forse i ritorni che stupiscono di più sono quelli dei tempi eroici, negli anni 30, per intenderci un menisco poteva essere “merce” più che sufficiente per chiudere la carriera di un atleta.

Nel 1952, Cardarelli rischiò di salutare la compagnia per una brutta pleurite a Helsinki. La FIGC, modello Ponzio Pilato abbandonò a se stesso l’atleta, che in quel momento era al servizio dell’Olimpica, lasciando tutte le spese per la degenza, i soggiorni climatici e le cure in carico alla Roma. Renato Sacerdoti, si comportò come un autentico padre ospitando Cardarelli nella sua casa e decidendo di continuare a versare al generoso atleta l’intero stipendio, premi compresi. Il presidente della Roma non mancò, però, di spedire una lettera ai vertici federali in cui faceva notare con sdegno il comportamento tenuto dal CONI e della FIGC, che, a fronte di: «tante e assai lussuose sedi», avevano lasciato Cardarelli in un: «abbandono completo».

Il massimo dirigente romanista terminava la sua missiva dicendo: «Per mio conto mi rifiuto ad ogni ulteriore contatto con costoro (responsabili del CONI e della FIGC). E perciò essendo essi inamovibili non mi rimane che andar via io». Una telefonata personale di Ottorino Barassi, con l’assunzione piena di responsabilità da parte del CONI (con l’erogazione di un mutuo di 50 milioni) e il ritorno di Cardarelli all’attività (nel giorno del sabato santo del 4 aprile 1953 in una partita del campionato riserve amichevole con lo Stabia), diedero però un bel finale a questa storia. Cardarelli, per inciso festeggiò il suo ritorno in campo con una spettacolare capriola. Il ritorno in serie A, inoltre, avvenne il 31 maggio 1953 nel corso di Roma Spal debutto ufficiale della Roma allo Stadio Olimpico.[...]

Perché? Ce lo svela un’intervista concessa proprio da Galli a Franco Bovaio qualche anno fa: «Ero molto preoccupato per la mia incolumità fisica, visto che ero arrivato ai Mondiali reduce dal brutto infortunio alle costole subito appena 63 giorni prima dell’inizio, il 18 aprile 1954 nel corso di un derby con la Lazio. Frattura dell’apofisi trasversa della seconda vertebra lombare che mi costrinse alla prospettiva di affrontare 40 giorni di busto di gesso. Per fortuna, con tanta forza di volontà e applicazione, ce la feci. Saltare i Mondiali sarebbe stato un delitto». Voltando pagina, dei due infortuni subiti da Carlo Ancelotti si è scritto molto, quasi tutto. Posso solo ricordare l’impressione tremenda che fece sentire il suo urlo dopo il primo crack, quello del 25 ottobre 1981: «Mi è uscito il ginocchio, mi è uscito il ginocchio!». Urlava Carlo e in seguito pianse anche, cosa che impressionò molto la madre che non lo aveva mai visto in lacrime. Fu una scena tremenda anche perché i romanisti avevano seguito per anni il calvario di Francesco Rocca e tutti istantaneamente “rivedemmo” quel percorso piombare sulle spalle del giocatore più amato, il “bimbo” della squadra. Ma il bimbo non è tornato una volta ma due.[...]

Non da meno fu il guaio capitato a Sebino Nela il 10 maggio 1987. Quando si accasciò a terra lo vedemmo alzare il braccio. Era una partita che non contava nulla, in un anno che non contava nulla. Dal lato della Monte Mario era esposto un cartello eloquente: «Fate voi». Nela “aveva fatto”, come al solito, dando tutto. I primi a raggiungerlo furono Giorgio Rossi e Carlo Ancelotti. Carletto spostò di peso qualcuno, non ricordo più chi e si chinò su di lui. I giornali scrissero con rara demenza: «Carriera finita», ma Sebino, compiuto tutto il calvario tornò. [...]