rassegna stampa roma

Aldair, semplicemente Pluto

(Il Romanista – M.Izzi) – “Pluto” Aldair, la sua maglia numero 6 è l’unica ad essere stata ritirata dall’AS Roma. Un giocatore di classe infinita campione del mondo nel 1994 con il Brasile, uno degli 11 Hall of fame della Roma.

Redazione

(Il Romanista - M.Izzi) - “Pluto”Aldair, la sua maglia numero 6 è l’unica ad essere stata ritirata dall’AS Roma. Un giocatore di classe infinita campione del mondo nel 1994 con il Brasile, uno degli 11 Hall of fame della Roma. In questa intervista dell’aprile 2003 realizzata per il libro “Grazie Aldair”, una carrellata che ripercorre gli anni giovanili del grande fuoriclasse brasiliano.  E’ il 30 ottobre del 1965 quando a Banco da Vitoria, sette chilometri da Ilheus, nello stato di Bahia, nasce Aldair do Santos Nascimiento. Ma sulla data di nascita del difensore brasiliano c’è un retroscena simpatico. Mamma Hilda si reca al cartorio (la nostra anagrafe) del paese in ritardo e registra il figlio.  «E’ nato il 30 ottobre e lo chiamo Aldair …» dice la signora, ma dall’altra parte del vetro l’addetto non capisce bene la data e quindi scrive 30 novembre. Quando si accorge dell’errore si fa un tentativo per rimediare. Viene cambiata la data con quella giusta ma riscrivendo il nome viene messo Altair. Questa volta la signora proprio non ci sta ma il risultato finale porta a ristabilire il nome giusto ma la data sbagliata.  "Deve essere stato un tipo buffo questo dell’anagrafe, uno di quelli con poca fantasia di lavorare" così comincia la chiacchierata con il più forte difensore della storia giallorossa, in un afoso pomeriggio romano seduti ad un bar a pochi metri da casa sua: «La mia adolescenza è stata abbastanza dura. Io sono nato da un rapporto extra coniugale di mio padre, e così ho vissuto quasi sempre con mia madre. La nostra casa era piccola e modesta e mia madre per tirare avanti faceva dei lavori domestici in una famiglia del paese. Sin da piccolo, impazzivo per il calcio. Mi ricordo che le chiedevo sempre di uscire con gli amici, ma lei non voleva, diceva che ero troppo piccolo e mi costringeva a restare in casa. Così mi costruivo dei palloni con tanti calzini arrotolati insieme e davo vita alle azioni di gioco dei miei campioni preferiti. Poi a otto anni ho cominciato a giocare nell’Ipiranga la squadra dei ragazzi allenata da mio padre. Ho cominciato da attaccante e segnavo anche tanti gol. Poi a mio padre capitò la possibilità di potermi fare un provino al Vasco de Gama. Significava però andare a Rio de Janeiro ed io avevo solo 14 anni. Mio padre mi disse di chiedere il permesso a mia madre.

Fu una decisione difficile perché anche gli altri fratelli temevano questo trasferimento in una metropoli come Rio, una città così lontana e così diversa dalla nostra.  Ma alla fine accettarono e così una volta superato il provino con il Vasco restai a Rio ospite nella casa di mio zio Nino, fratello dimio padre. Fu un periodo molto duro.Non riuscivo a superare il fatto che stavo lontano di casa e così dopo solo 4 mesi mi sono inventato una bugia: raccontai a mio zio che mi ero fatto male e che non mi facevano giocare abbastanza. Cominciai così a giocare in una squadra di un quartiere di Rio, il Caxia, questa volta nel ruolo di difensore perché da attaccante prendevo troppi calci. Dopo qualche mese di contratto Juarez, un ex giocatore del Flamengo divenuto osservatore, il quale mi prospettò l’idea di un provino con loro. Accettai senza indugi e così nel 1986 firmai il mio primo contratto da professionista. Non ricordo bene la cifra, ma bastò comunque per rimettere a posto la casa di mia madre. Io volevo regalargliene una tutta nuova, ma lei non ha mai voluto abbandonare quella dove noi siamo nati.  

L’esordio con la maglia del Flamengo in uno dei classicos (derby) di Rio de Janeiro, Flamengo–Botafogo. Perdemmo 1-0 ed io giocai il secondo tempo. Fu un’emozione indescrivibile giocare davanti ad un Maracanà stracolmo. Mi era già capitato quando con la squadra primavera giocavamo le gare prima della partita di campionato della prima squadra. Ma quella volta giocavo accanto a gente come Zico, Edinho, Renato. Qualche anno con il Mangao, dove vincemmo il campionato regionale di Rio e conquistai la nazionale, poi arrivò la proposta del Benfica. Fu sempre Juarez a parlarmi di questa possibilità di andare in Portogallo. Il Benfica aveva appena ceduto il mio connazionale ed ex compagno di squadra Mozer al Marsiglia ed avevano pensato a me come sostituto. La scelta fu davvero difficile e piena di interrogativi. Non volevo lasciare il Brasile, ed inoltre avevo da poco conosciuto Claudia, quella che poi è diventata mia moglie. Ci siamo conosciuti nella sua città Vitoria do Espirito Santo (Stato di Espirito Santo). (…) La mia esperienza in terra lusitana cominciò male. Ebbi un primo infortunio che mi tenne lontano dal campo di gioco e così Eriksson mi mise un po’ da parte. Io volevo giocare perché di lì a poco sarebbe stato il Mondiale di Italia 90 e ci tenevo ad essere presente. Parlando con lui mi diceva che dovevo dimagrire un po’ e così fu faticoso ottenere la sua fiducia. Alla fine di quella stagione arrivò la proposta della Roma, o meglio fecero tutto direttamente le due società. Penso che la Roma si convinse vedendomi giocare la finale di Coppa dei Campioni contro il Milan.  Ma anche a Roma il primo anno fu difficile (…). A fine stagione pensai di andare via. Tra l’altro era morto il presidente Viola che per me fu un padre, e mi mancava il punto di riferimento. Quel periodo fu determinante Claudia la quale, nonostante fosse triste perché avevamo perso un bambino al terzo mese di gravidanza, mi convinse a restare perché tutto sarebbe andato per il meglio"». E tutto andò per il meglio.