La Roma senza bandiere finisce per allargare il fronte del no allo stadio. Escono di scena i frontman di #famostostadio, l’hashtag coniato dal marketing del club per coinvolgere la città nell’assalto a Tor di Valle: Francesco Totti oggi se ne va, De Rossi ormai è storia. E i tifosi giallorossi protestano, anche sui social, più che disponibili a mollare il progetto stadio pur di liberarsi del presidente James Pallotta. Così, per effetto, in Campidoglio cade anche l’ultima resistenza al possibile siluramento dello stadio della Roma, da sempre maldigerito dalla base eppure a suo tempo spinto dalla maggioranza grillina e dai vertici nazionali del M5S essenzialmente per due motivi: prima di tutto per non perdere il feeling con la città e la spinta dell’elettorato romanista; secondo, per permettere a Raggi di portare a casa un risultato concreto.
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Stadio, l’addio di Totti fa crescere in Comune il “fronte del no”
Tifosi giallorossi (contro Pallotta) e base M5S fanno vacillare il fronte dei favorevoli in Campidoglio. È stallo, mercoledì vertice
Mercoledì una nuova riunione tecnica al dipartimento Urbanistica dell’Eur servirà a fare il punto sulla Convenzione urbanistica, ovvero il contratto tra i proponenti e l’amministrazione. Secondo il Corriere della Sera si litiga sui soldi extra e sulla modalità «vincolata» dell’eventuale erogazione da parte dei proponenti, sulla spartizione dei futuri proventi del parcheggi, sugli oneri per gli espropri nell’opera di unificazione di via Ostiense con via del Mare, sul concetto di "contestualità" tra opere pubbliche e private: il M5S pretende l’apertura dell’impianto non prima che ponti e ferrovie siano ultimati anche se questo potrà comportare tempi d’attesa biblici; la Roma, che ha la necessità finanziaria di patrimonializzare il prima possibile, spinge per la posa del primo mattone e, soprattutto, per svincolarsi dalle lungaggini della burocrazia legata ad appalti pubblici che spesso vedono coinvolti più enti.
La novità è il cambio di sensibilità della giunta Raggi dopo il flop alle Europee. È questo che rischia di far saltare il banco. Dopo la sonora bocciatura arrivata dalle periferie il 26 maggio, infatti, per la linea politica del Campidoglio c’è stata una svolta verso l’intransigenza delle origini del Movimento quella che tre anni fa ha pagato con la valanga di voti che ha permesso la conquista di Roma. Quel «no alla speculazione edilizia» - congelato per «ragione di Stato» dal Comune, ma mai dai comitati di quartiere - ha cominciato a risuonare nel Palazzo senatorio fino a diventare protagonista nella riunioni a tema stadio della maggioranza grillina. Col risultato che adesso domina il fronte del rigore, un ibrido che sembra quasi voler indurre i proponenti al diniego e che solleva il Campidoglio dalla responsabilità di dire un no pesante. E la Roma? Da una parte confida di poter ammorbidire Raggi e la sua giunta, dall’altra prova a fare pressioni sfruttando la sponda del sindaco di Fiumicino, Esterino Montino, che lo stadio lo ospiterebbe volentieri. I terreni individuati però non sono nella disponibilità del comune, l’iter dovrebbe ripartire daccapo e il progetto dovrebbe essere "alleggerito" del business park, ovvero l’autentico motore finanziario dell’operazione stadio. Tutto per tutto su Tor di Valle: è lì che Pallotta proverà a piantare la sua ultima bandiera.
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