«Chi ha i giocatori forti deve tenerseli, con lui la Roma è più forte». Il «lui» in questione era Daniel Pablo Osvaldo e, in ritiro a Riscone di Brunico, Rudi Garcia difendeva l’attaccante che l’anno prima aveva realizzato 17 gol (16 in campionato e 1 in Coppa Italia) con la maglia della Roma.
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Osvaldo e Dodò, i due ex diversi
L'argentino verrà fischiato dall'Olimpico, mentre per il brasiliano l'affetto dei tifosi romanisti è rimasto lo stesso.
La storia giallorossa dell’italo-argentino è stata caratterizzata più dai bassi che dagli alti, non tanto per l’innegabile talento quanto per comportamenti extra calcistici (suoi e della fidanzata) che avevano portato alla rottura con società, compagni e tifosi.
Da quei giorni in Trentino sono passati poco più di quindici mesi, ma sembra un’era geologica; un periodo in cui la Roma, anche attraverso la cessione dell’attaccante, ha ricostruito una squadra in grado di scalare le gerarchie del calcio italiano. Osvaldo, nello stesso periodo, ha avuto il tempo di fallire al Southampton prima di fare ritorno in serie A per vincere uno scudetto con la Juventus, con tanto di gol vittoria in un Olimpico che lo accolse con un bel po’ di fischi, e di passare, la scorsa estate, all’Inter. Domani sera tornerà per la seconda volta da ex nello stadio che era pronto a farlo diventare un re e che, invece, lo tratterà come fa con chi se ne è andato da Roma sbattendo la porta.
Non è il caso di Dodò, l’unico tra gli ex giallorossi - il terzo è Marco Andreolli, 15 presenze e il gol a Londra contro il Fulham in Europa League in quattro anni da romanista - che domani sera dovrebbe partire titolare. Il terzino brasiliano è andato via, ma sarebbe rimasto volentieri, e non sono pochi quelli pronti a sostenere che, vista la situazione sulla fascia sinistra - Cole e Cholevas non convincono fino in fondo, Emanuelson non è pervenuto e Balzaretti è fuori uso per questioni fisiche - forse avrebbe fatto comodo. Tra questi c’è sicuramente il d.s. Walter Sabatini, che su di lui aveva puntato ad occhi chiusi. «Io l’ho sempre apprezzato - ha ammesso in un’intervista - e continuo a farlo. L’ho ceduto per salvargli la vita e perché non avrebbe potuto crescere in questo ambiente, che lo ha sempre bastonato: la stampa non è responsabile della sua cessione ma ho dovuto valutare anche questo aspetto». I 9 milioni offerti dall’Inter e il fatto che Garcia non lo considerasse pronto per giocare titolare nella Roma hanno fatto il resto.
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