Aveva detto Demetrio Albertini, lunedì, nel giorno in cui aveva lanciato la propria candidatura alla presidenza della Federcalcio: «Se devo diventare un distributore di risorse economiche e basta, non è questo il mio ruolo. Io voglio riportare il calcio al centro del nostro mondo. La mia disponibilità vuole rappresentare un forte segno di discontinuità alla logica delle percentuali e della frammentazione di interessi e visioni del sistema». La risposta non si è fatta attendere. Andrea Abodi, presidente della serie B (quella che è riuscita a varare un campionato con 21 squadre), già candidato per la Lega di A del cartello guidato da Andrea Agnelli in funzione anti-Beretta (Lotito) nel gennaio 2013, ha annunciato al GR1 il sostegno a Carlo Tavecchio. In questo modo (e in attesa dell’assemblea di domani della Lega di A), ha battuto tutti sul tempo, perché la serie B è la prima componente a candidare ufficialmente il n. 1 della Lega Dilettanti (che aveva affidato al proprio presidente un mandato esplorativo). Sul suo passato di candidato per la Lega di A, Abodi ha detto: «Le due situazioni non sono paragonabili; all’epoca era un discorso personale; ora rappresento 21 società che la pensano allo stesso modo».
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Le novità di Albertini hanno spaventato la B «Noi con Tavecchio» Le Leghe non mollano
La giornata, nel complesso, è stata favorevole a Tavecchio, che ha incontrato il presidente della Lega Pro, Mario Macalli, ottenendo il pieno appoggio.
La Lega di serie B vale il 5% e l’annuncio di Abodi riassume la posizione di almeno 17 club, spaventati dall’idea che un presidente come Albertini possa rompere l’egemonia delle Leghe in Figc e mettere la serie B in posizione di contrasto con quella di A, che continua a pagare gli «alimenti» dopo il divorzio del 2009. E i soldi in questo caso non sono importanti: sono tutto. Abodi ha spiegato che «le quattro Leghe che hanno l’azionariato della Figc devono assumersi le loro responsabilità e dare le risposte che non sono state date in questi anni. Ognuno con le sue diversità e sensibilità dobbiamo ricostruire un sistema che non produce più risultati». Ha parlato di un sistema da modernizzare e ha indicato quattro obiettivi: 1. ricostruire un modello che sappia fornire dal basso giocatori alle squadre azzurre, per migliorare la competitività anche dei club; 2. migliorare la qualità dei tornei, a partire dalla serie A; 3. riavvicinare i campionati fra di loro; 4. ridare credibilità a tutto il sistema, per arrivare a un aumento dei fatturati. Al di là delle parole, è evidente che in questa scelta prevale lo spirito di conservazione, quello che ha portato il calcio italiano alla paralisi governativa (il vero motivo che ha indotto il presidente Abete alle dimissioni), ma che garantisce la sopravvivenza di piccolo cabotaggio, con poche idee e pochissime iniziative.
Abodi ha insistito sul fatto che «è giusto che Albertini si sia candidato; per me non è un ex calciatore, ma un dirigente che stimo». Però, vista la situazione, appaiono più convincenti le parole del presidente dell’Assocalciatori, Damiano Tommasi: «Siamo un Paese in cui essere stati calciatori non è un valore aggiunto, ma un handicap per diventare presidente federale, anche se poi ci vuole anche altro».
Albertini ha preso atto delle parole di Abodi: «Visto che parla di modernizzazione, io resto a disposizione». Albertini è il primo a sapere che si dicono tante cose, si organizzano convegni e tavole rotonde, ma poi non cambia mai nulla, appena si intravvede qualcosa di nuovo. Ma non ha nessuna intenzione di ritirarsi, perché perdere un’elezione non è un fatto disonorevole e poi fra due anni si dovrà tornare a votare.
La giornata, nel complesso, è stata favorevole a Tavecchio, che ha incontrato il presidente della Lega Pro, Mario Macalli, ottenendo il pieno appoggio, che, al momento del voto, si concretizzerà in una percentuale del 15% (l’ex serie C vale il 17%). Tutto previsto, da tempo. La sorpresa semmai è venuta dagli arbitri (percentuale del 2%): hanno manifestato l’intenzione di astenersi, perché i candidati sono due. Una scelta sconcertante, perché di solito le elezioni nel mondo (a parte la Corea del Nord) avvengono con due o più candidati e perché per anni si sono battuti per ottenere il diritto di voto, minacciando addirittura scioperi, serrate, ammutinamenti. Questa è la fotografia perfetta del calcio italiano. Il resto sono parole.
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