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Nela: “Tra Fonseca e Dzeko è una situazione da recuperare. L’unico bene che conta è quello della Roma”

LaPresse

L'ex terzino giallorosso si racconta in un libro in uscita e analizza il momento della squadra

Redazione

"Questo non è un libro su Sebino Nela il calciatore, è un libro su Sebastiano Nela. Cioè io. Chi cerca aneddoti sul calcio, oppure pettegolezzi su quello che succedeva nello spogliatoio della Roma fa meglio a cercare un’altra biografia. In libreria ce ne sono tante" dice Nela intervistato da Luca Valdiserri sul Corriere della Sera.

A gamba tesa. Anzi, con il vento in faccia, come si intitola il libro scritto insieme a Giancarlo Dotto. Perché un orso, come si descrive lei stesso, a quasi 60 anni si mette a nudo? "Ci ho pensato per anni. Ho sempre tenuto dentro tutto. È il mio carattere mezzo sardo e mezzo ligure. Giancarlo (Dotto; ndr) me lo chiedeva da tempo: da qui, diceva, nasce di sicuro qualcosa di buono. Alla fine ho accettato. Ma lo dovrebbero fare tutti, perché tutti hanno qualcosa da raccontare. Ogni vita è importante, nessuna insignificante. Viviamo in un mondo che insegue i suoi idoli, un mondo di follower. Ma non conosciamo l’uomo che c’è dietro l’idolo. Così io ho raccontato Sebastiano. Tutto compreso, non solo quello che mi faceva comodo raccontare".

Il calcio è omertoso, i panni sporchi si lavano in casa. Se un calciatore esce dagli schemi sputa nel piatto dove mangia. Se dice le solite banalità è un decerebrato a cui Dio ha messo nei piedi quello che non ha nella testa...

"Quando giocavo i rapporti erano diversi. Con i giornalisti, per esempio: entravano negli spogliatoi, si viaggiava insieme sui charter della squadra. La quotidianità impone rispetto, da dare e da avere. Si capiva presto di chi ti potevi fidare e di chi no. Certo, gli addetti ai lavori erano pochi, non come adesso. Quando sento per radio fare certe analisi...".

Che dialogo c’è, oggi, tra Dzeko e Fonseca?

"Perché è successo non lo so, quindi non giudico. Però l’unico bene che conta è quello della Roma. È una situazione da recuperare. Non so chi farà il primo passo, ma lo devono fare. A giugno si prenderanno le decisioni, ora c’è da raggiungere il quarto posto. Essere professionisti vuole dire gestire le situazioni. C’è gente che non arriva a fine mese, non è ammissibile sprecare soldi e talento".

Per avere dialogo bisogna cercare dialogo.

"Questo è un punto dolente. Quando vedo i giocatori di oggi con quelle cuffie enormi in testa, impazzisco. Così ci concentriamo, dicono. Così vi perdete il mondo, dico io. L’ho scritto nel libro: noi giocatori sul pullman cantavamo gli inni della Roma a squarciagola. C’era il proprietario di un ristorante a piazzale degli Eroi, laziale sfegatato, che ci aspettava e ci urlava: “Bastardi!”. E noi gli rispondevamo: “Pezzo di merda”. Cose meravigliose. È questo che ti carica. E voi vi isolate?".

Zaniolo si isola?

"Zaniolo ha un talento e un fisico incredibili. Poi, come tutti i ragazzi della sua età fa le sue cavolate. Ma chi non le fa? Un ragazzo di 20 anni non deve essere un esempio per nessuno, deve sbagliare e imparare dai suoi errori. Se poi c’è un ragazzo di 18-20 anni già completamente maturo, buon per lui. Ma è l’eccezione, non la regola. Non ho consigli da dare a Zaniolo. Forse uno sì, ma vale per tutti i ragazzi: studiate la storia della vostra squadra, imparate quali sono stati i grandi giocatori che hanno vestito quella maglia, ascoltate il cuore di quella città. Da romanista ho vinto meno di quello che volevo e potevo vincere, ma ero orgoglioso quando a Torino portavamo diecimila persone e gli juventini, che poi incontravo in nazionale, mi dicevano: che tifoseria che avete! Nel libro dico: portate Zaniolo dentro una macelleria di Testaccio, fatelo stare una sera con Daniele De Rossi".

Nella Roma attuale non lavorano Totti, De Rossi, Nela, Rocca, Pruzzo... Roma è matrigna con i romanisti?

"È un discorso lungo, che ho affrontato spesso con vecchi compagni di squadra. I grandi ex possono essere una risorsa, guarda quello che sta facendo Maldini al Milan. Però niente è dovuto. Abbiamo l’obbligo di prepararci, studiare, presentarci con competenze e conoscenze. Per adesso alla Roma è così, in futuro magari cambierà». Senza spoilerare troppo, nel libro racconta di aver sparato a una persona, il pusher che riforniva di droga la sua prima moglie. «Non era uno stinco di santo. In quegli anni non ero il solo ad avere una pistola. L’aveva anche Agostino".