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Sebino Nela ha rilasciato una lunga intervista a Il Corriere della Sera. L'ex Roma ha ripercorso la sua carriera e ha anche parlato del tumore che lo ha colpito qualche anno fa. Le sue parole:
Una persona timida nel calcio: come fa? "Lavorando in silenzio. All'inizio parlavo poco. La storia è cambiata nel secondo anno di Roma".
La stagione dello scudetto, 1982/83. "Ho capito immediatamente che cos'era la Roma. Le tifoserie rivali ci insultavano in tutti i modi: mi raddoppiavano le energie».
Poi la finale di Coppa dei Campioni persa con il Liverpool, l'anno successivo. Ha avuto un buon pallone che però ha servito a Graziani. "Avrei potuto calciare. Ma quella sconfitta l'ho digerita bene. È stata peggio quella con il Lecce che ci è costata lo scudetto due anni dopo".
E la Roma dove può arrivare? "Arrivare nelle prime quattro sarebbe un risultato straordinario. L'inizio è convin-cente, vediamo anche il cammino delle altre. Gasperini richiede tempo".
Il cancro al colon: come l'ha affrontato? "Noi calciatori viviamo di obiettivi, una partita dopo l'altra. Con la malattia ho fatto così. Passavo cinque ore in bagno tutte le notti con i dolori di stomaco dopo la chemio. Mi sono detto: "Cerchiamo di stare in bagno quattro ore. Poi tre e mezzo, poi tre". Ha funzionato. L'unica cosa che mi porto dietro è questa stupidaggine della gente che mi dice: 'Non c'erano dubbi che con quel fisico ne venissi fuori'. E allora tutti i colleghi che ho perso? Vincenzo D'Amico, Paolo Rossi, Sinisa Mihajlovic, Gianluca Vialli. L'unica differenza tra me e loro è che io sono stato più fortunato".
La famiglia? "Una notte ho trovato mia moglie e le figlie che piange-vano, ho detto: "Basta, siete voi che dovete aiutare me" Dentro casa la situazione è cambiata. Ho perso mio padre per questa malattia, suo fratello. Ho perso mia sorella, la persona che stimavo di più al mondo”.
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