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L’ultima offesa ultrà: l’attacco alla mamma di Ciro

Non ci sono stati problemi né fuori né dentro lo stadio, ma proprio come all’andata la gara è stata giocata in un clima che non ha nulla a che vedere con lo sport.

Redazione

C’è chi crede di essere l’unico custode della fede e che il suo modo di viverla sia il solo vero e inattaccabile. E c’è chi ha il coraggio — o, chissà, la disperazione — per dire: «Dio cambi i cuori di chi ha scritto quelle cose». È questa la risposta di Antonella Leardi, madre di Ciro Esposito, il tifoso napoletano morto il 25 giugno scorso, dopo essere stato colpito il 3 maggio da un colpo di pistola negli scontri prima della finale di Coppa Italia tra Napoli e Fiorentina. Dell’omicidio è accusato Daniele De Santis( c’era uno striscione anche per lui: Daniele con noi), un ex frequentatore della curva Sud giallorossa, legato all’estrema destra.

In uno stadio Olimpico dove vengono tolti i tappi alle bottiglie di plastica in mano a bambini di 7 anni è stato possibile confezionare questi striscioni. Il primo: «Che cosa triste... Lucri sul funerale con libri e interviste!», con un chiaro riferimento alla recente presentazione del libro «Ciro vive». Il secondo: «C’è chi piange un figlio con dolore e moralità e chi ne fa un business senza dignità. Signora De Falchi, onore a te». In questo caso il riferimento è a un’altra pagina nera della violenza applicata al calcio italiano: la morte di Antonio Falchi, un tifoso romanista di diciannove anni, andato in trasferta a San Siro, aggredito selvaggiamente da ultrà milanisti il 4 giugno 1989 e poi morto per arresto cardiaco. Ma chi può decidere quale è il modo «giusto» di elaborare il proprio lutto e vivere la disgrazia del dolore più contro natura che esista? Chi può dire che sia meglio il silenzio oppure parlare ogni volta che è possibile, di chi non c’è più? È qui che arriva la perdita totale del senso di umanità ed empatia per entrare nella logica del branco, che divide solo in amici e nemici. È così che le vittime diventano simboli di chi neppure li conosceva e, soprattutto, contro ogni loro volontà, ricordi per continuare ad odiare.

Per Roma-Napoli sono stati mobilitati oltre mille agenti e il settore ospiti è stato aperto per una trentina di tifosi biancazzurri non provenienti dalla Campania, anche se molti di più erano quelli mescolati ai romanisti in altri settori dello stadio. Non ci sono stati problemi né fuori né dentro lo stadio, ma proprio come all’andata (quando ai tifosi romanisti fu proibito l’ingresso al San Paolo) la gara è stata giocata in un clima che non ha nulla a che vedere con lo sport. Gli striscioni contro la madre di Ciro, però, sono stati un salto di qualità in negativo. Un conto sono i cori (anche ieri è stato intonato spesso «Vesuvio lavali col fuoco») o gli striscioni che promettono vendette ultrà (al San Paolo ce n’era stato uno visibilissimo, esposto a lungo). Un altro è non rispettare neppure il dolore di chi ha perduto un figlio. La polizia ha già acquisito i filmati e li sta esaminando per identificare gli autori. I prossimi Roma-Napoli e Napoli-Roma andranno giocati a porte chiuse? È giusto far vincere chi mette prima l’odio verso il «nemico» e poi il tifo per la propria squadra? La risposta è di tutti, non solo delle istituzioni.