(Corriere della Sera - G.De Carolis) Cinque minuti possono bastare per cambiare una carriera, stravolgere un Mondiale e forse riscrivere le regole del gioco. Sassuolo-Roma, sospesa per «colloqui» dal 35’ al 40’ primo tempo, è il fallimento del dialogo come buona pratica per chiudere una contesa.
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La sorpresa di Sansone “Decisione mai vista: ci arbitriamo da soli?”
(Corriere della Sera – G.De Carolis) Cinque minuti possono bastare per cambiare una carriera, stravolgere un Mondiale e forse riscrivere le regole del gioco.
I giallorossi conducono il match 0-1 ma Sansone, sgusciante e veloce come spesso gli accade, s’intrufola nel fazzoletto d’area sorvegliato dal romanista Benatia e cade a terra dopo un contatto con il marocchino. Una scena vista milioni di volte su migliaia di campi, ogni benedetta domenica. Il direttore di gara, l’internazionale Rizzoli, non è vicinissimo all’azione, ma lascia giustamente proseguire: non c’è fallo. Però Peruzzo, l’arbitro addizionale piazzato sulla riga di fondo vicino alla porta, apre l’interfono e comunica: calcio sul piede, è rigore. Puntuali arrivano fischio e penalty per il Sassuolo. E a seguire si aprono le consultazioni. Benatia innesca la rituale e di norma inutile protesta. Rizzoli, già forse poco convinto di concedere il rigore ma arbitro tra i più inclini al dialogo (rappresenterà l’Italia al Mondiale brasiliano), va a interrogare Sansone. «Era calmo e tranquillo e con un tono sereno mi ha chiesto cos’era successo — racconta il 22enne attaccante del Sassuolo, nato a Monaco di Baviera da genitori salernitani emigrati —. Gli ho risposto: Benatia mi ha toccato sulla maglia e poi sono scivolato. Gliel’ho detto che per me era rigore. Benatia nel dopo partita ha confermato di avermi toccato la maglia, se non lo avesse fatto non sarei scivolato».
A Rizzoli quel «sono scivolato» è sufficiente per togliere al Sassuolo il tiro dagli 11 metri. Gli arbitri hanno l’assoluto divieto di parlare e soprattutto di spiegare le loro «fischiate», ma è facile intuire cos’è accaduto domenica al Mapei Stadium. Il giudice di porta Peruzzo spinge il direttore di gara a concedere il penalty, perché certo di un tocco di Benatia sul piede di Sansone. Rizzoli si fida, poi rimette insieme i pezzi, cui si aggiunge il «sono scivolato» del giocatore a conferma che la prima intuizione di lasciar correre il gioco era esatta.
L’arbitro però torna dal giocatore una seconda volta. «Mi ha richiesto la stessa identica cosa e io gli ho risposto ancora: mi ha toccato sulla maglia e poi sono scivolato — continua Sansone —. Io sostenevo che era fallo, Benatia e quelli della Roma ovviamente negavano. Poi mi ha detto: visto che sei scivolato non c’è simulazione, non ti ammonisco. Sono stato onesto, lui ha preso la sua decisione. È un ottimo arbitro, deciso e di personalità, cui piace il dialogo. Questo è bello, ma non è giusto domandare se era fallo a un giocatore: non si dovrebbe fare. Cosa facciamo allora, ci arbitriamo da soli? Non mi era mai capitato in vita mia, né tra i professionisti né da bambino».
Cinque minuti, un soffio dilatato all’infinito per chi deve decidere in una frazione di secondo. Un tempo relativamente breve in cui però trova terreno fertile chi spinge per la moviola in campo e chi non vuole più direzioni di gara «democratiche», con sei persone connesse via auricolare a dettare suggerimenti spesso errati all’arbitro. In fondo resta il 43enne Rizzoli, un po’ troppo dialogante e con un Mondiale da affrontare, dove troverà ben altre platee e campioni rispetto a Benatia e Sansone. Serve coraggio per decidere, ma anche per sbagliare.
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