Cinquanta milioni servono solamente per la metropolitana, per la cura del ferro, per le opere (principali) di «pubblica utilità». E, in più, il Campidoglio diminuisce il numero delle cubature. In sintesi: la trattativa per lo stadio della Roma a Tor di Valle è in una fase fragile, delicatissima. Forse anche sul punto di rompersi. Perché solamente dopo l’incontro a New York con James Pallotta — il sindaco e l’assessore Giovanni Caudo voleranno domani in direzione Stati Uniti — si capirà se la proprietà americana è disposta ad accettare le richieste del Campidoglio. Di certo, il retroscena di ieri è illuminante: doveva essere Pallotta a piombare a Roma ma, forse a seguito delle richieste capitoline, alla fine l’accordo è stato un altro. Marino aveva comunque in programma il viaggio in America (a Philadelphia) e così ha deciso per lo scalo newyorkese. Ma è evidente che la decisione di Pallotta di non raggiungere la Capitale sembra raccontare altro: che la trattativa, al momento, appare in bilico.
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Gelo sullo stadio della Roma. E Marino vola da Pallotta
La trattativa per lo stadio della Roma a Tor di Valle è in una fase fragile, delicatissima. Forse anche sul punto di rompersi.
Di certo, oggi, le posizioni sembrano parecchio distanti: nel progetto originario, infatti, 220 milioni sarebbero stati compensati in cubature, e 50 milioni (dei quali 10 per la metropolitana) avrebbero rappresentato l’investimento «puro» dei privati. Invece, il Campidoglio — dopo la riunione di ieri pomeriggio in Campidoglio tra Marino e Caudo — ha stabilito che quella cifra, 10 milioni, proprio non basta per prolungare la linea B «fino a Tor Di Valle»: per quell’opera, infatti, di milioni ne servono cinquanta. «Almeno».
Le «modifiche» chieste a Pallotta e Parnasi (il costruttore) sono, quindi, di ordine sia qualitativo sia quantitativo: la diminuzione delle cubature, come detto, e in più anche la valutazione di quelle che, nel progetto, venivano presentate come «opere di pubblica utilità» come ad esempio i due parcheggi.
Insomma, questo è ciò che la delegazione del Campidoglio andrà a dire a Pallotta: e cioè che queste sono le condizioni e una volta accettate si potrà discutere del resto, dei dettagli, come ad esempio dello svincolo stradale che supera il vincolo della Regione (la modifica presentata ieri prevede il collegamento tra il nuovo asse viario e la Roma Fiumicino utilizzando, dopo gli opportuni adeguamenti, la rotatoria del Parco dei Medici già esistente).
Anche perché senza la metropolitana anche la nuova strada indicata nella variazione del progetto finirebbe, con ogni probabilità, travolta dal flusso automobilistico. «Invece noi vogliamo che almeno la metà dei tifosi — spiega l’assessore Giovanni Caudo — vada allo stadio con la metropolitana, come avviene altrove e come non accade all’Olimpico...». Il discorso del Campidoglio è chiarissimo: va bene lo stadio della Roma, ma Roma — la città — deve poter sostenere l’opera, giovarsene in qualche modo, oppure il rischio è che per il quadrante interessato (e non solo) l’opera si trasformi in un incubo, sicuramente dal punto di vista del traffico.
Saranno le 11 di mattina a New York, venerdì (le cinque di pomeriggio qui) quando il sindaco e l’assessore varcheranno la soglia degli uffici di Pallotta: a lui riferiranno anche delle altre richieste, quelle stabilite dalla conferenza di servizi, il maggior spazio al verde, il miglioramento ambientale, le risorse per la difesa idraulica (c’è il fosso di Vallerano, affluente del Tevere). Ma questi saranno aspetti dei quali forse neanche si parlerà: perché la parte principale della discussione verterà sulla diminuzione delle cubature, sul concetto di «pubblica utilità» (voce sotto la quale, nel progetto, era considerato anche il parcheggio vip...) e quindi sul prolungamento della linea B, per il quale servono «cinquanta milioni». Una cifra, milione più milione meno, vicina a quella spesa dalla Roma (34 milioni, ingaggi a parte) per la campagna acquisti dell’ultimo calcio mercato.
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