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Fienga: “Stop ai furbetti. La serie A si può salvare se giocherà di squadra”

LaPresse

Il CEO della Roma: "Perdite condivise tra tutti e un piano internazionale"

Redazione

I furbetti del quartierino rischiano di uccidere il calcio quanto il coronavirus. Guido Fienga conosce il problema in quanto romano di nascita, Ceo della AS Roma e professionista 'prestato' al pallone dopo lunga militanza in altri settori economici. "I danni prodotti da questo virus non sono soltanto sanitari, ma anche sociali. Mi riferisco ai comportamenti degli egoisti e dei furbi. All’inizio qualcuno ha provato a prendere dei vantaggi su chi, in quel momento, era più debole". Guido Fienga ha parlato in un'intervista a Luca Valdiserri su 'Il Corriere della Sera':

Mettere una data per la ripartenza del campionato, in questa situazione, è illudere la gente?

"Fissare degli step è utile, ti costringe a programmare e a capire quanto serve per essere pronti. Detto questo, ogni data è subordinata all’emergenza. Si parte quando non c’è più rischio, non un minuto prima. Naturalmente, prima di ripartire dovranno essere fatti controlli su tutti i calciatori. Servono regole chiare, da dare prima della ripartenza, sulla validità della stagione o meno".

I calciatori accetteranno di guadagnare di meno?

"Qui bisogna mettere in sicurezza tutto il sistema calcio, parlare solo di stipendi è riduttivo. Si può partire anche da quelli dei top manager, allora. Ci sono tante ipotesi, è probabile che si debba ripartire da un livello inferiore per tutti".

Tutti sanno che c’è una trattativa con Dan Friedkin per il passaggio di proprietà, in questo momento per forza di cose congelata. Come si sta relazionando Pallotta con la parte italiana del club?

"Il presidente Pallotta ci sta supportando in ogni modo per garantire la serenità di tutto il gruppo Roma, che è ben più ampio dei giocatori che vanno in campo. Per questo non finirò mai di ringraziarlo".

Qualche giocatore della Roma le ha chiesto di lasciare la città? E le hanno chiesto di poter fare il tampone?

"No, nessuno ci ha chiesto di andar via. Non abbiamo avuto casi di positività né sappiamo di contatti di nostri giocatori o loro familiari con casi positivi. Non c’è stato motivo di chiedere un’eccezione al Sistema Sanitario Nazionale che è già sotto stress".

Vi siete mai sentiti mandati allo sbaraglio?

"L’avvicinamento a Siviglia-Roma è stato pieno di tensioni. Abbiamo detto subito che non si poteva giocare. Se fossimo stati obbligati a farlo attraverso un cordone sanitario — arrivo all’aeroporto, trasporto allo stadio e ripartenza subito dopo — non avremmo accettato. Per fortuna non siamo arrivati a quel punto".

Quando il calcio tornerà, la gente avrà ancora voglia di vederlo o penserà ad altro?

"Torneremo ad appassionarci e, forse, questo periodo ci avrà legato ancora di più, rinsaldando il senso di appartenenza. Si può vincere in tanti modi, io mi sentirei vincitore se i tifosi saranno fieri di essere romanisti".