(Corriere della Sera-B.Tucci) Sette giorni per capire se il prossimo anno la Lazio giocherà in Champions. Sabato sera il Napoli all’Olimpico, mercoledì dopo Pasqua la Juventus a Torino.
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Due destini in sette giorni
(Corriere della Sera-B.Tucci) Sette giorni per capire se il prossimo anno la Lazio giocherà in Champions. Sabato sera il Napoli all’Olimpico, mercoledì dopo Pasqua la Juventus a Torino.
Una settimana di fuoco in cui i biancazzurri dovranno dimostrare di essere all’altezza delle squadre più forti. Compito difficile? Certamente sì. Nelle ultime quattro settimane, la Lazio ha perso tre volte, eppure i giovanotti di Mazzarri e Guidolin sono ancora lì, tre punti sotto. Non hanno approfittato del calo della squadra di Reja e dell’assenza forzata di Klose. Questo vuol dire che la Lazio è Klose-dipendente? Penso di no, ma sarebbe bene averne una conferma. «Una partita alla volta - sostiene ilmister di Formello - Prima pensiamo al Napoli». Giusto. Come batterlo la notte di sabato? Si prenda esempio dalla Juventus che, domenica scorsa, gliene ha rifilati tre, giocando allo spasimo e bloccando alla fonte la manovra di Mazzarri. I tre magnifici del Napoli (parlo delle punte) non debbono mai arrivare in area di rigore, altrimenti sono guai. Insomma, l’Olimpico dovrà tornare ad essere un campo «dove nessun avversario prende punti».
La Roma spera ancora. I più ottimisti ritengono che la partita non è perduta e che il traguardo della Champions può essere raggiunto. Personalmente, credo di no. Non solo perché le squadre da battere sono tre (Napoli, Udinese e Lazio), ma anche e soprattutto perché non mi fido dei «pischelli» di Luis Enrique. La tifoseria è troppo abituata agli alti e bassi romanisti per puntare un euro sull’Europa che conta. Dopo la scorpacciata con il Novara, i giallorossi voleranno in trasferta a Lecce per poi affrontare l’Udinese e la Fiorentina in casa. Duecentosettanta minuti che rappresenteranno la cartina di tornasole per Lucho. Se alla fine di questo trittico, la Roma non avrà acuito il gap, allora vorrà dire che il mio pessimismo era ingiustificato e reciterò il «mea culpa» per non aver creduto nel verbo del mister di Trigoria.
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