news calcio

Laporta racconta i segreti del Barça

(repubblica.it – C.De Gregorio) Ha qualcosa di infantile, l’avvocato Joan Laporta. Architetto del Barça-mes-que-un-club, custode del segreto più invidiato di quello della Coca cola, il segreto della squadra dei sogni.

Redazione

(repubblica.it - C.De Gregorio) Ha qualcosa di infantile, l'avvocato Joan Laporta. Architetto del Barça-mes-que-un-club, custode del segreto più invidiato di quello della Coca cola, il segreto della squadra dei sogni.

Non troppo alto, non troppo magro, non più così giovane. Gli ultimi dieci anni in vetta al mondo e ora da due qui nell'anonima sala riunioni del suo studio legale, vista sul retro del palazzo, balcone con calcinacci di lavori in corso. Moglie separata a Londra, tre figli maschi adolescenti via con lei. Una fama di Casanova da girone di ritorno e di "chico Martini", ragazzo da drink, che scaccia con un gesto della mano: leggende. La carriera politica, il suo nuovo campo di gioco, va così così: vorrebbe la Catalogna indipendente, il nuovo corso politico non giova alla causa. Potrebbe essere malinconico, risentito. Invece gli brillano gli occhi mentre parla, salta sulla sedia, si alza, fa disegni con la mano. Quando a tarda sera si resta chiusi dentro lo studio si toglie la giacca si infila in un cunicolo e apre una porta segreta: "Guardi, venga, qui dietro c'è un ascensore segreto. Sapesse quante volte...". Di chi lo accusa di aver lasciato buchi nei conti dice "miserabili. Non mi perdonano il successo. Gli ho consegnato la squadra più bella del mondo". Tornerà al club? "Forse, chi può dirlo", e si illumina. Parla del Barça al futuro, "il prossimo presidente sarà Guardiola, il prossimo allenatore Xavi". Si diverte. Mercoledì la squadra giocherà contro il Milan di Berlusconi: "Un tipo simpatico, guascone. Quando ha fatto shopping di lusso, ai tempi di Sacchi, aveva una squadra fortissima. Pagando, certo. Ma la nostra filosofia è un'altra: menos cartera, mas cantera. In castigliano fa rima. Significa meno mano al portafogli, più vivaio. Un altro modello, diciamo così".Il modello, avvocato. Che cosa significa "mes que un club"? Qual è il segreto del Barça?"In primo luogo la storia. La nostra è una squadra più che centenaria, foro di democrazia e di diritto. Negli anni di Franco, quando parlare catalano era proibito, al Barça si parlava la nostra lingua. Uno dei nostri presidenti fu fucilato dal dittatore fascista. Il Real era la squadra del regime, la nostra quella della regione che vanta il primo parlamento d'Europa. Il Barça non ha un padrone, è di proprietà dei soci. Fra la squadra e la comunità c'è una prossimità integrale. Barcelonismo e catalanismo sono una cosa sola: è una mentalità".Rigore e lavoro, è questo il catalanismo?"Cultura dello sforzo. Onestà. Responsabilità. Senso comune. Quello che noi chiamiamo "seny". Voi dite buon senso. Però poi i catalani hanno una vena di vittimismo che non è arrendevolezza, al contrario: semplicemente mediano, conciliano, sopportano e vanno avanti. Questo serve a resistere ma non basta per vincere. Noi abbiamo fatto in modo che il Barça vincesse".Appunto, come?"Gli elementi sono quattro. Catalunya è uno. Poi però ci voleva Cruyff, che è il secondo. Il terzo è la masia, il vivaio. Il quarto è Unicef. Il privilegio di dare".Cominciamo da Cruyff. "Senza Cruyff nulla sarebbe successo. Quando venne a giocare da noi ero bambino. Era l'anno della Liga dorada, '73/74. Noi portavamo le divise e i capelli corti con la riga stile franchista. Lui aveva i capelli lunghi. Una moglie bellissima, Dani. Volava, in campo. Fu il primo a fare pubblicità facendosi pagare: è lavoro, diceva. Il progenitore del diritto di immagine! Lo adoravamo. Poteva andare ovunque, era il Messi di allora. Per meglio dire: Messi è il Cruyff di oggi... Poi negli anni Novanta è tornato da allenatore. Generoso, furbo, coraggioso, carismatico. Il gusto per lo spettacolo che diventa arte. Quattro regole semplici: avere la palla, massimo due tocchi, velocità, pressione sull'avversario. Un modo genuino di giocare. Cruyff ci ha semplicemente mostrato che c'era tutto per vincere, bastava farlo. E per farlo bisognava divertirsi, appunto, perché giocare significa divertirsi, no? Mi ricordo che a Wembley, alla finale di Champions contro la Sampdoria, fece uscire i giocatori dagli spogliatoi dicendo solo questo: "Andate, e divertitevi". I ragazzi hanno imparato. Messi quando gioca sembra che lo faccia nel cortile della scuola. Si diverte".E così è cresciuta la masia, la cantera. Il vivaio."Un gioiello. I ragazzi in campo oggi, da Messi a Xavi, da Puyol a Iniesta, a Busquets sono cresciuti insieme. Da quando avevano 8, 10 anni. Sa cosa significa? Guardiola è uno di loro. In fondo il vero segreto è questo: sono buona gente".Cosa intende per buona gente?"Umili. Che non fanno i gradassi. Che hanno buoni amici. Che si aiutano, sono una comunità. Sono generosi e solidali". Lei nel 2008 ha scelto Guardiola, giovane e senza esperienza come allenatore, per guidare la squadra. Paura?"Nemmeno un po'. Ho avuto il privilegio di imparare il calcio da Cruyff e Rijkaard, seguire i loro consigli e vedere coi loro occhi. Guardiola era perfetto. Aveva il Barça nel cuore, Cruyff nelle vene, l'epica nell'anima. La nostra storia incarnata: un ragazzo di provincia, cresciuto nella masia, grandissimo lavoratore. Johan l'aveva fatto scendere in campo un giorno dicendo: da oggi giocano Pep e altri dieci. Da quel momento è stato la sua cinghia di trasmissione nella squadra. Non ha fatto che continuare, anche se oggi tendono a rendergli la vita difficile. Il cruyfismo, per qualche inspiegabile ragione, ai nuovi dirigenti è indigesto. Non mi pare una buona idea isolare Guardiola, nel club".Potrebbe accettare qualche offerta milionaria..."Non so. Mi auguro di no. Per quanto lo conosco direi di no, ma poi sa, le cose cambiano. Ricordo che quando offrirono un ingaggio formidabile a Messi andai da Jorge, suo padre, e gli dissi: quei soldi non possiamo darglieli, ma se resta avrà la gloria. Ci vuole un gruppo solidissimo attorno per dire questo. Tutti uniti per il bene comune. Lo stesso obiettivo, la stessa mentalità. Messi era già grandissimo, è diventato il migliore quando ha imparato a mettersi a disposizione degli altri".Cosa che non è successa a Ibrahimovic."No, Ibra non è mai entrato in sintonia con la squadra. C'erano pressioni enormi perché lo prendessi, ma il calcio è un gioco collettivo e il Barça è il più solidale tra i collettivi. Fu un errore. Per di più non in linea col nostro spirito: meno spese, più vivaio...".E i conti ne hanno risentito."Guardi, il tesoriere della squadra era Xavier Sala i Martìn che insegna alla Columbia e io credo sarà Nobel per l'economia. I conti che abbiamo lasciato erano perfetti. Per giunta con la Fondazione abbiamo distribuito in dieci anni 60 milioni di euro. Perché fondamentale è stato il quarto punto: l'Unicef".L'unica squadra a non avere sponsor ma a fare da sponsor."Infatti. Noi pagavamo per avere la scritta Unicef sulla maglia. Un milione e mezzo all'anno, più quelli che all'Unicef arrivavano da altri nostri accordi: la Nike ha dato 10 milioni attraverso di noi. Perché non basta giocare bene e vincere. Bisogna essere generosi. Dare. È un privilegio, poter dare, che suscita ammirazione e rispetto. In questo eravamo diversi".Ora c'è il Qatar."Una tristezza. L'Unicef è finito dal petto dietro il sedere. Che errore".Ventisei milioni di euro."Pochi, per una maglia vergine. La maglia del Barça incarna uno spirito. Vale moltissimo di più".Ci va ancora allo stadio?"Certo, nel posto dove andavo quando avevo 5 anni con mio padre, dall'altra parte delle tribune. Se piove mi bagno".Mercoledì Milan: cosa pensa del modello Berlusconi?"È diverso. Non parlo male degli altri club. Parlo bene del mio. Il Milan di Sacchi era un megastore da sogno. Oggi, calcisticamente, il Barça è più forte".È vero che ha detto di no alla costruzione dei

Casino Eurovegas sui terreni della società, prima di lasciare?"È vero. Noi siamo la squadra che costruisce scuole in Malawi, non sale bingo sotto casa. Siamo quelli del lavoro non quelli del colpo di fortuna".L'hanno spesso paragonata a Berlusconi. Come stile di vita, diciamo."Mi piacciono le cose belle. Non vedo altri punti di contatto, ammesso che la nostra idea di bellezza sia la stessa. Non ho una squadra né un impero economico, ho sempre lavorato per gli altri. Berlusconi l'ho conosciuto, un gran seduttore. Come politico non saprei. Io sono catalanista. Indipendentista. Liberale e progressista. Penso che dobbiamo indignarci meno e ottenere di più".Il modello Barça è anche un modello politico?"Potrebbe esserlo. Le buone pratiche lo sono. La mia seconda squadra è l'Athletic Bilbao, i baschi. Alla fine quello che conta sono gli uomini che incarnano le idee, i progetti, il gioco. La cosa migliore del Barça sono i nostri ragazzi. I giocatori. Sa che volevano scendere in campo tutti col 22, per Abidal? Animo, Abidal. Forza". Chi vince mercoledì?"Noi".Chi sarà il prossimo presidente?"Guardiola, se potessi decidere io".E il prossimo allenatore?"Xavi, un fenomeno. Un ragazzo magnifico".E lei?"Io cosa?".Tornerebbe, o preferisce la politica?"Chi lo sa. Io amo il Barça e il mio paese come amo i miei figli. Quando Cruyff ha chiamato suo figlio Jordi, il più catalano dei nomi, ho capito che avremmo vinto tutto. Detesto chi si lamenta e gioca in rimessa. Noi non facciamo melina col pallone. Un tocco, al massimo due. Lavoriamo per gli altri, e corriamo avanti. È così che si vince: si vince col dare, ed è una bellezza. Piacere puro, da insegnare ai bambini. Da tornare bambini".