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Il caso Atalanta e il patto club-calciatori

(repubblica.it – F.Bianchi) Calciatori stangati, società (un po’) meno. Questo il segnale che è stato voluto dare in occasione dei processi del Calcioscommesse.

Redazione

(repubblica.it - F.Bianchi) Calciatori stangati, società (un po') meno. Questo il segnale che è stato voluto dare in occasione dei processi del Calcioscommesse.

Per prima è stata la Federcalcio: il presidente Giancarlo Abete ha fatto subito approvare dal consiglio federale nuove norme, più dure, contro chi scommette (minimo 22 mesi di stop, ora sono 18) e chi, come al solito, fa finta di non vedere. Sì perché dietro a questa storia c'è la consueta omertà che nel mondo del calcio non manca mai. I calciatori coinvolti, stavolta almeno, sono quasi tutti di secondo piano, gente quasi a fine carriera (vedi Doni) o che dopo aver smesso di giocare (vedi Signori) non aveva trovato ancora la sua strada e ora si trova radiato, espulso per sempre dal mondo del calcio. Ma la responsabilità oggettiva, che i club contestano, ha coinvolto in questa spirale anche le società. L'Atalanta ha pagato con 6 punti di penalizzazione da scontare nel prossimo campionato di A. Altre società per ora si sono salvate ma nel secondo filone, quando Cremona andrà avanti, potrebbero essere tirate in ballo dal pm Stefano Palazzi. L'Atalanta non ha potuto patteggiare anche perché Doni e Manfredini si sono sempre dichiarati innocenti e non hanno confessato nulla, rinunciando così anche loro ad uno sconto di pena.

Perché? Così la loro carriera rischia di finire se in secondo grado, come è possibile, le condanne verranno confermate dopo Ferragosto. L'Atalanta è convinta di ridurre in appello la penalizzazione, da sei ad almeno 4 punti. Afferma l'avvocato Enzo Morelli, che difende il club bergamasco insieme agli avvocati Chiappero e Bianchi: "L'Atalanta non è contenta del risultato e confida che la Corte Federale possa valutare diversamente l'assenza di elementi probatori a carico dei suoi giocatori, Doni e Manfredini, che, come dimostrato in dibattimento, non hanno alcuna responsabilitá in merito ai fatti contestati. Tantomeno l'Atalanta, estranea a tali fatti e che si è sempre comportata in modo esemplare". Fra club e giocatori c'è un patto di ferro, è vero: ma la responsabilità oggettiva mette in chiara difficoltà le società. Perché non pensano, in qualche caso, di prendere le distanze dai loro tesserati? L'Atalanta non poteva certo spiare Doni e Manfredini: non sa chi frequentavano, né con chi parlavano.

Ma ora si trova nei guai seri, sei punti da recuperare non sono pochi per chi deve lottare per restare in A. Nei forum dei tifosi, qualcuno comincia a prendere le distanze dai calciatori, che, se fosse confermato l'impianto accusatorio, avrebbero messo in grosse difficoltà, anche economiche, il loro club appena promosso. Il mio, partendo dal caso-Atalanta, vuole essere uno spunto sul tema responsabilità oggettiva: molti club vogliono cancellarla, ma per certi aspetti resta un caposaldo della giustizia sportiva che è diversa, molto diversa, e si è visto anche in questo caso, da quella ordinaria. Non è facile trovare una soluzione, ci sta lavorando anche l'Uefa.

Detto questo, spero che l'Atalanta e i suoi calciatori possano dimostrare tutte le loro ragioni in appello ed, eventualmente, nei ricorsi successivi. Purtroppo però nel calcio si fatica ancora a scindere le responsabilità, come se fosse una grande famiglia allargata: basta pensare a chi non prende le distanze dai violenti (attenzione: violenti non vuole dire assolutamente ultrà, sono due cose molto diverse) che hanno magari creato grossi guai ai club col loro comportamento. Ci sono ancora presidenti, e si è visto di recente, che ballano coi lupi...