Luciano Zauri è uno che negli scandali del calcio italiano ci entra con la disinvoltura con cui, nei giorni migliori, da difensore o centrocampista, sbrogliava le azioni avversarie con poca tecnica e molta buona volontà. Abbiamo ancora negli occhi quella sua parata in Lazio-Fiorentina, incredibilmente ignorata da Rosetti che diede il calcio d’angolo ma non quello di rigore.
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Da Lentini a Zauri, i milioni (in nero) del calcio italiano
Luciano Zauri è uno che negli scandali del calcio italiano ci entra con la disinvoltura con cui, nei giorni migliori, da difensore o centrocampista, sbrogliava le azioni avversarie con poca tecnica e molta buona volontà. Abbiamo ancora negli...
Non c’entrava nulla il giocatore, inconsapevole simbolo di quella calciopoli con cui una “cupola” che partiva dalle Lega e finiva negli uffici della Juventus, doveva punire i Della Valle per le loro contestazioni al Sistema, con la retrocessione dei Viola (scongiurata in extremis dal “pentimento” dei fratelli a capo della Fiorentina). Ci ritorna Zauri al centro delle cronache, questa volta non solo sportive ma anche giudiziarie, con il suo ultimo trasferimento di calciomercato. Passando dalla Lazio alla Sampdoria nel 2011, infatti, secondo la Procura di Milano avrebbe avuto uno “scivolo” di un milione di euro in nero, versato su conti svizzeri. E da lì è scattata l’accusa di riciclaggio.
Non indignatevi troppo, però, perché se pure fosse confermata questa malversazione, saremmo in presenza di un malcostume in atto, in Italia, da molto tempo. Forse da sempre, se si pensa alla disinvoltura con cui Achille Lauro gestiva le sue attività imprenditoriali, quella d’armatore e di presidente del Napoli, rendendole vasi fin troppo comunicanti (uso, a occhio, di moltissimi colleghi contemporanei: c’è uno che compra solo squadre di città portuali e un altro che al calciomercato è più spregiudicato del patron della Longobarda).
Ma c’è comunque un caso in cui questa abitudine fu scoperta in tutta la sua sfacciata evidenza: la compravendita di Gianluigi Lentini. L’ala granata passò al Milan per una cifra record: 18,5 miliardi delle vecchie lire. Come se non bastasse al patron torinista di allora, Borsano, furono elargiti 10 miliardi in nero. Un reato che portò al proscioglimento degli indagati solo per la famosa legge ad personam (e ad squadram? Perdonate il latino maccheronico) sul falso in bilancio.
Non ci arrivarono a quel proscioglimento i tulipani del Milan di Sacchi: gli olandesi Ruud Gullit, Frank Rijkard e Marco Van Basten patteggiarono, accusati di aver ricevuto 67 miliardi di lire complessivi di redditi non dichiarati, passati per complicati viaggi bancari su vari conti esteri. Il Milan li pagava così (ai tempi dell’inchiesta si disse che era pratica comune anche con tutti gli altri assi della rosa), e chissà che invidia Ibrahimovic, che ora verrà massacrato dalle aliquote antimilionari di Hollande e che in Italia, sembra, abbia ricevuto quella dozzina di milioni di euro l’anno tutti dichiarati. Neanche una mancia sottobanco, poverino. Gli sarebbe bastato nascere un quarto di secolo prima.
E in fondo anche il Napoli a loro contemporaneo, quello di Ferlaino, non è estraneo alla pratica: la frode fiscale clamorosa imputata a Diego Armando Maradona (per cui i compagni Careca e Alemao hanno patteggiato) sarebbe da imputare all’assicurazione del patron partenopeo di corrispondere al netto gli emolumenti ai suoi sudamericani, pensando egli stesso al Fisco italiano. Ma Equitalia ci conferma che ciò non è avvenuto.
Il nero nel calcio, però, come dicevamo, è un’abitudine che ha preso anche la via della finanza creativa. Lazio, Roma, Inter e Milan, in particolare, hanno vissuto due o tre anni in cui mettevano su scambi di giocatori estremamente spregiudicati- all’inizio grandi nomi (Coco-Seedorf, ad esempio), poi addirittura riserve e primavera- che cambiavano sponda in compravendite alla pari ma con prezzi davanti ai quali l’ipervalutazione delle azioni di Facebook in Borsa sembra roba da educande. Come dimenticare, ad esempio, l’audace colpo di mercato che portò Simone Brunelli, Matteo Definite, Matteo Giordano e Ronny Toma dal Milan all’Inter e che vide fare la stessa strada nel senso opposto a Salvatore Ferraro, Alessandro Livi, Giuseppe Ticli e Marco Varaldi? Questi campioni incompresi, ebbero l’onore di un prezzo complessivo pattuito di 13,95 milioni di euro. Il Milan incassò una plusvalenza di 11,961 milioni, mentre l’Inter ottenne un maggior introito di 13,941 milioni di euro. “Il fatto non costituisce reato”, dissero gli organi giudicanti, e non se ne parlò più. Anche perché in questo caso parliamo di finanza creativa, ma anche piuttosto cretina: il beneficio immediato era altissimo, ma poi l’aggravio sui bilanci successivi, con ammortizzazioni quasi impossibili, era pesantissimo.
Ma se andassimo a scartavetrare le serie minori e il calcio di provincia, troveremmo l’Ischia di qualche lustro fa sbattuto in Eccellenza per peccati ben più veniali o il Taranto che, secondo la Tributaria, avrebbe operato pagamenti in nero fin dal 2009.
Il pozzo nero dei fondi neri, insomma, è senza fondo. Noi chiudiamo il cerchio con l’inchiesta della procura di Piacenza, che coinvolge 21 procuratori per evasione. Tra questi Tullio Tinti, guarda caso procuratore di Zauri. Si parla di un sistema ramificato con cui società e intermediari (e a questo punto anche giocatori?) fatturavano poco e male, eludevano le aliquote più alte e cercavano modalità di pagamento e inserimento a bilancio che consentissero una maggior possibilità di scarico delle spese sostenute. E a sentire le voci di corridoio si parla di una sanatoria consistente per cui Figc e Fisco sarebbero in trattativa per evitare l’esplosione di uno scandalo che, nonostante le proporzioni notevoli, ha trovato solo due giorni di notorietà sui giornali.
E comunque si sa, il nero sfina.
pubblicogiornale.it
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