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Una maledizione chiamata Daniele Conti

(di Alessio Nardo) Cross dalla sinistra di Agostini, tentativo (sballato) di rinvio corto di José Angel e il pallone che, beffardo, termina lì. Proprio lì. Sui malefici piedi dell’innominato.

Redazione

(di Alessio Nardo) Cross dalla sinistra di Agostini, tentativo (sballato) di rinvio corto di José Angel e il pallone che, beffardo, termina lì. Proprio lì. Sui malefici piedi dell'innominato.

Conti Daniele, classe 1979 da Nettuno, al 68' di Roma-Cagliari non poteva non trovarsi in quella posizione, in quel preciso punto del campo. Pronto a recitare il consueto ruolo di guastafeste. Stop, tiro e gol. Ed esultanza (legittima) con maglia al vento e petto in fuori. Ancora lui, sempre lui, solo lui. Dici Cagliari e la sagoma dello spettro si materializza. Nefasta, brutale, maledetta. Trentacinque gol realizzati in carriera, cinque alla Roma. Quella Roma che fu sì del meraviglioso papà Bruno, ma anche sua. Di Daniele. Tanti anni fa.

Una storia giallorossa. Tipica del masochismo nostrano, classica in ogni suo aspetto. Lo spauracchio di casa Cagliari non è altro che un prodotto romanista. Fatto in casa. E come potrebbe non esserlo, con quel cognome e con quegli inconfondibili tratti somatici. Tutto inizia in una fredda serata di dicembre del 1998. La Roma di Zeman travolge il Perugia all'Olimpico: 5-1. Il secondo gol porta una firma speciale, quella del "primo" Danielino, giovane della Primavera con un cognome tosto. La sua incornata vincente su traversone di Alenitchev è un lungo brivido d'emozione in fondo al cuore. Indimenticabile corsa sotto la Sud, l'abbraccio con Totti e di un popolo intero. Il paradosso avvia la storia. Conti junior lascia Roma, si dice, per farsi le ossa a Cagliari. Giusto un anno o due, prima di tornare a reggere il centrocampo giallorosso. Dalla Sardegna, Daniele non si muoverà più. I primi "ritorni" da avversario sono accolti da applausi scroscianti. Il figlio di Bruno è un dono di Dio: va salutato, cullato e protetto. Nonostante indossi un'altra maglia. Le cose ci mettono un po' a cambiare. Dobbiamo giungere all'8 febbraio 2006: Roma-Cagliari si disputa in campo neutro (a Rieti) a porte chiuse. Totti e soci trionfano per 4-3 al termine di un match rocambolesco. Conti segna su punizione il provvisorio 2-3, esibendo un'esultanza da molti giudicata "eccessiva". Sempre su punizione, Daniele gela l'Olimpico il 14 dicembre 2008: sassata stratosferica e momentaneo 1-1 sardo. Altra corsa sfrenata, altra dimostrazione di gioia un po' sopra le righe. Il volto corrucciato di papà Bruno a bordocampo è tutto un programma.

La definitiva "rottura" tra Conti junior e il tifo romanista viene sancita il 10 maggio 2009. Al "Sant'Elia" finisce 2-2. Stavolta niente gol dell'ex, ma Daniele litiga con Francesco Totti, suo vecchio "maestro" di campo e compagno di spogliatoio, mettendogli persino le mani addosso. Il figlio d'arte entra ufficialmente nell'elenco dei "nemici giurati" della Roma, ma il bello (per lui) deve ancora venire. Il 6 gennaio 2010 è di nuovo 2-2 nel tempio sardo, denso d'amarezze e rimpianti: i giallorossi di Ranieri conducono 2-0 al 90' e incassano una clamorosa rimonta in pieno recupero. Diego Lopez accorcia al 91', al 93' il guizzo finale è (indovinate un po') del numero 5, il capitano rossoblù. Che non si ferma. L'11 settembre 2010, al "Sant'Elia", la Roma vicecampione d'Italia cerca i primi tre punti in campionato dopo lo scialbo 0-0 col Cesena. Trascorrono giusto cinque minuti e Danielino Conti, dal limite dell'area, inventa una giocata sublime: stop e destro superbo. Julio Sergio incenerito. Finisce 5-1, Bisoli in trionfo. Passa un anno esatto, arriviamo all'11 settembre 2011. Storia di ieri, di sempre. La Roma trova il quasi 33enne Daniele e viene inesorabilmente punita. Per la quinta volta. La memoria rivive fasi, stagioni, momenti e periodi. E torna rapida al 23 maggio 1991. Bruno Conti, icona inossidabile della storia romanista, celebra l'addio al calcio correndo per l'ultima volta sul prato dell'Olimpico. Con lui i due figlioletti, Andrea e Daniele. Quest'ultimo piccolo, bello e capellone. Chi avrebbe pensato che un giorno, quel pupo di papà sarebbe diventato la nostra più acerrima maledizione.