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Tutti in fuga dalla Roma

(di Alessio Nardo) Roma, la nostra Roma. Gialla come il sole e rossa come il cuore. Bella, affascinante, stupenda, con i suoi travolgenti entusiasmi, con la sua passione unica al mondo.

Redazione

(di Alessio Nardo) Roma, la nostra Roma. Gialla come il sole e rossa come il cuore. Bella, affascinante, stupenda, con i suoi travolgenti entusiasmi, con la sua passione unica al mondo.

Chi rifiuterebbe mai la Roma? Tante volte abbiamo sentito questa frase. In effetti, come si fa a non morire dalla voglia di indossare la maglia giallorossa in un Olimpico infuocato di colori e passione? Eppure, c'è l'altro lato della medaglia. Brutto, triste, doloroso. Roma e la Roma perdono improvvisamente fascino e attrazione, invitando o a volte "costringendo" all'addio illustri protagonisti. Non parliamo di semplici separazioni professionali, logiche e consuete nel mondo del calcio. No, chi se ne va da Roma, nel 90% dei casi, lo fa sbattendo la porta. Inorridito, sfiancato, nauseato. Di casi storici ne possiamo citare a bizzeffe, soprattutto nell'ultimo decennio. Personaggi acclamati da Re, poi tramutatisi in "traditori" all'atto del loro addio. Oppure altri, discussi e chiacchierati, desiderosi di varcare i confini romani per eccessiva pressione. Qual è il problema? Perché nella Città Eterna si consumano continui divorzi traumatici? Portiamo alla luce degli esempi.

Senza andare troppo indietro nel tempo (potremmo riferirci agli scottanti casi Falcao, Di Bartolomei, Giannini), ripartiamo dal passato più recente. Gigi Di Biagio fu un pilastro della Roma di Zdenek Zeman, senza mai ricevere pieno amore dalla Sud. Una curva amara contestatrice: il playmaker azzurro fu quasi "esiliato" e invitato all'addio nell'estate 1999. Nella stessa stagione, altri due giocatori rischiarono di lasciare la Roma a causa dei pessimi rapporti con l'ambiente: Vincent Candela e Marco Delvecchio (quest'ultimo a lungo fischiato dai tifosi), ripresi per i capelli da Fabio Capello e rispolverati in prima squadra, per poi prender parte alla straordinaria cavalcata tricolore del 2001. Lo scudetto, che ricordi. Ma di quel meraviglioso squadrone, tutti gli interpreti son rimasti nei cuori dei tifosi romanisti? Non proprio. Cafu, il "Pendolino", lasciò Roma nel 2003 per sposare il progetto Milan, tra le urla contestatrici di un popolo inferocito. I casi più rumorosi? Quelli di Zebina ed Emerson, fieri seguaci di Capello alla Juve nell'estate del 2004. La moglie del "Puma", Sonia, arrivò persino a dire: "Mio marito è disposto anche a rimanere in Brasile senza giocare, alla Roma non vuole più stare". E a Trigoria pervenne il famoso certificato medico di "depressione", quale furbo alibi per non presentarsi in ritiro agli ordini di Cesare Prandelli. Quanto dev'esser stato difficile, per l'allora ds Franco Baldini, avviare e concludere una trattativa con la Juventus di Luciano Moggi...

Tutti assieme a Capello. E qui apriamo la parentesi degli allenatori. Da Zeman in poi, quasi il 100% dei "mister" ha lasciato Roma avvolto da fuoco e fiamme. Il caso "Don Fabio" è ancora irrisolto: è fuggito di nascosto di notte con la sua Mazda, oppure no? Prandelli durò tre mesi: il tempo di un'estate, poi l'addio. Anche lì, chiacchiere e mistero: lo ha fatto perché non sopportava i capricci di Cassano o per gravi motivi familiari? La storia ha chiarito: i problemi di salute della moglie erano, purtroppo, realmente seri. 2004-2005, stagione dei quattro allenatori: Rudy Voeller, il tedesco volante, accolto da un'ondata d'entusiasmo e fuggito disperatamente dopo un misero mese di lavoro. Poi Delneri, presunto "amico" della Gea e della Lega Nord, mai entrato in sintonia con l'ambiente. Lasciò la Roma in crisi di risultati, con alle spalle sei mesi di duro operato. E Spalletti? Di lui preferiamo ricordare le cose più belle: le magiche serate di grande calcio, i trofei vinti, i sorrisi. Ma l'ultimo anno del tecnico di Certaldo a Trigoria fu un tormento. Irritato, infastidito, sull'orlo continuo di una crisi di nervi, in perenne polemica con i giornalisti e l'ambiente. Andò via dopo una batosta casalinga con la Juventus, e la sua ultima conferenza stampa (quella dei pugni sbattuti sul tavolo) è rimasta impressa nella storia. Anche Ranieri, dopo la gloria, è finito nel tritacarne cittadino. Uno scudetto sfiorato, tanti elogi. E poi? Solo drammi e problemi. Con tanto di celebre sfogo in conferenza (a settembre, prima di Roma-Bologna) ed inevitabili dimissioni post Genoa-Roma di campionato (da 0-3 a 4-3 in favore dei liguri). E' bene che Luis Enrique faccia ogni scongiuro possibile.

Torniamo ai giocatori, non è certo finita qui. Degli "illustri scudettati", anche Gabriel Omar Batistuta uscì dai cancelli di Trigoria con brutalità. Un anno straordinario (20 gol e tricolore), altri due sottotono. Separazione inevitabile nel gennaio 2003: Bati all'Inter, col presidente Sensi che invece di augurare buona fortuna al Re Leone, parlò di autentica "sola" rifilata al collega Moratti. E come dimenticarsi di Cassano, Chivu, Mancini. Tutta gente prima "venerata" e poi fuggita dalla Roma con disperazione. Fino agli esempi d'oggi: Doni, affidabile portiere titolare dal 2005 al 2009, in seguito detestato dai tifosi e "svenduto" al Liverpool; Mexés, sette anni in giallorosso, Rugantino, il francese nato a Roma, approdato al Milan a costo zero senza aver mai nemmeno "pensato" ad un rinnovo contrattuale. Infine, i due ex compagni di merende: Jeremy Ménez e Mirko Vucinic. Entrambi snervati da mesi e mesi di critiche, per nulla disposti a prendere in considerazione (neanche per un minuto) l'idea di un rilancio agli ordini di Luis Enrique. Roma bella, Roma super, Roma grande. Eppure, chi sbarca ai piedi del Colosseo col sorriso, dopo un po' fugge via inorridito. E' bene iniziare a chiederci il perché.