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Totti, l’ultimo re

Dopo Xavi e Gerrard, cade anche il totem Casillas. L'ultima grande bandiera del calcio europeo resta il capitano giallorosso

Redazione

Un semplice annuncio che manda in archivio una vita intera: Iker Casillas è ufficialmente del Porto. Il baluardo dei trionfi madridisti, unico reduce della vera epopea dei galacticos, lascia la Casa Blanca dopo sedici stagioni e una moltitudine di trofei. Già alla sua prima annata da titolare, 1999-2000, Iker vinse la Champions League. Un predestinato, un vincente. Un grandissimo. Nonché un'altra bandiera che viene malinconicamente ammainata.

Iker, l'ex bimbo prodigio. Colui che negli anni ha ammirato davanti ai suoi occhi gente come Hierro, Roberto Carlos, Makelele, Figo, Ronaldo e Zidane. Ma anche Sergio Ramos, Marcelo, Bale, Ronaldo (l'altro) e Benzema. Un manuale di storia più che un semplice atleta, costretto a far le valigie a “soli” 34 anni poiché mal sopportato da un ambiente non più disposto ad accettare sviste, errori e cali di rendimento.

Esistono piazze difficili, Madrid è una di queste. D'altronde, anni fa fu messo alla porta senza troppi problemi anche un certo Raul Gonzalez Blanco. Tanto per dire. Casillas è la seconda bandiera spagnola che lascia, a distanza di poche settimane: prima di lui, Xavi Hernandez, reduce dall'ennesimo trionfo tinto di blaugrana, pronto (a 35 anni) a calarsi nella ben diversa realtà del calcio qatariota. Squadra prescelta, l'Al Sadd. Simboli, loro due, del futbol dei primi anni duemila, in cui brillava già (in Inghilterra) la stella di Steven Gerrard, ormai ex capitano del Liverpool. Ora, tra le prime firme di una Major League Soccer sempre più ricca di volti noti, per quanto attempati.

C'è dunque chi è costretto a fuggire, e chi, ingolosito dai soldi e dal fascino di nuove mete, decide di “sporcare” una carriera a tinta unica. Si ragiona così nel calcio moderno. Non ovunque. Non da noi. Saremo sciocchi, stucchevoli e provinciali. Ma amiamo mantenerci romantici. Francesco Totti sta iniziando la sua ventiquattresima stagione da calciatore della Roma, diciottesima da capitano. Classe '76, anni (quasi) 39. Semplicemente un miracolo della natura. E' sempre lo stesso, anche se gli anni maledettamente passano. Non mutano lo spirito, la voglia di lavorare e sentirsi calciatore, il desiderio di andare avanti, l'affezione all'abitudine che lo porta quasi a non rendersi conto di essere un caso ormai unico. Non avrà lo scatto di un tempo, non potrà più giocare tre partite a settimana (forse nemmeno due), non sarà più letale sotto porta come una volta. E' normale. Ma è sempre il capitano della Roma, il ragazzo semplice e sorridente che a Pinzolo (con tutto il rispetto per i suoi compagni) ha attirato le attenzioni di tutti e regalato lacrime di commozione a chi ha provato il brivido piacevole di ritrovarselo davanti.

Xavi, Gerrard e Casillas sono tutti più giovani di Totti. E nemmeno di poco. Appartengono già ad una generazione successiva, anche se sono diventati grandi negli stessi anni in cui Francesco esplodeva a livello mondiale. Il loro tempo (nei club in cui sono nati) è finito, quello di Totti ancora no. Ci sono bandiere o presunte tali che ancora resistono in giro per il mondo? Sì, ma ormai si contano sulle dita di una mano. John Terry del Chelsea, che però in carriera ha vestito anche la maglia del Nottingham Forest, e Philipp Lahm del Bayern Monaco, tra l'altro appena abbandonato dall'ex fratello Schweinsteiger, accasatosi allo United. Come Totti non resta più nessuno. L'ultima bandiera, l'ultimo re di un calcio sempre meno pervaso da sentimenti e coinvolgimento emotivo. Anche Francesco avrebbe potuto scegliere di godersi le ricche terre arabe o calarsi in un'intrigante avventura americana. Invece, continua a mettere a disposizione della sua squadra del cuore talento, esperienza, lavoro. Inseguendo un'ossessione che si chiama secondo scudetto: lui ci crede, non molla, lo vuole. Ci proverà per un altro anno, poi chissà. La storia, almeno a Roma, è destinata a continuare.