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Tiago Leal: “Gli infortuni colpa della storia di ogni calciatore. Mancini a centrocampo una visione”

LaPresse

Il match analyst dello staff di Fonseca ha spiegato il suo lavoro e quello del tecnico portoghese, soffermandosi su molti aspetti: "Giocare con l'Atalanta è un incubo"

Redazione

La Roma è pronta a tornare ad allenarsi da domani. In vista della possibile ripresa del campionato, Fonseca e il suo staff sono chiamati a svolgere un grande lavoro, ottimizzando le risorse anche a livello tattico, oltre che fisico. Nello staff del tecnico portoghese questo ruolo è svolto da Tiago Leal, il match analyst, che in una diretta Instagram con 'Il Terzo Uomo' ha spiegato il suo lavoro, soffermandosi su alcuni aspetti della squadra e il suo rapporto con Fonseca  "Meglio in inglese però, così posso raccontare più dettagli. So parlare in italiano, ma non è ancora perfetto anche se lo sarà".

Cosa fa di solito nella sua settimana? In cosa consiste il suo lavoro?

Sono uno degli assistenti dell'allenatore e sono responsabile della parte relativa all'analisi. In settimana lavoro normalmente con la squadra, poi sono il responsabile del lavoro di analisi della nostra squadra e delle avversarie. Durante la partita sono in tribuna, nella zona stampa, riprendiamo con la nostra telecamera e facciamo una panoramica a livello tattico mentre altri riprendono invece in maniera fissa sul portiere. Seleziono le cose che possono essere interessanti e le condivido con Paulo o con la squadra. Durante la partita sono in contatto con la panchina, parlo con Nuno (Campos, ndc) e gli do magari dei feedback su alcune situazioni. E Nuno poi passa il messaggio a Fonseca quando crede sia più opportuno. Dopo questo ho la responsabilità di analizzare la nostra squadra e la nostra partita, cerco di capire se il nostro lavoro è stato buono e perché, condivido i contributi video con la squadra e traiamo le nostre conclusioni. Coordino anche l'analisi delle avversarie, abbiamo creato un reparto di analisi e abbiamo alcune persone che ci lavorano, prima nella Roma non esisteva. Abbiamo detto alla società che poteva essere importante crearlo e il club è stato molto aperto, ci ha supportato. Ci ha aiutato con i software e tutte le tecnologie. Tutto questo lavoro consiste anche nel discutere ogni giorno con lo staff e l'allenatore, parliamo delle strategie per le partite successive e prendiamo parte alle decisioni del mister. Cerchiamo di creare anche allenamenti che possano essere utili per la partita.

Nella parte dell'analisi quante persone sono coinvolte?

Dipende. Il reparto di analisi non è una cosa usuale, che c'è sempre stata, ma è qualcosa che sta crescendo negli ultimi anni. Ci sono magari 5-6 persone, in altri club questo reparto non esiste affatto. Credo sia importante, oggi le partite vengono decise in pochi dettagli, una società deve tenere conto di questo elemento. Senza è più difficile.

A volte lei stesso guida l'allenamento.

Nel nostro modo di lavorare, siamo molto fortunati a lavorare con una persona come Paulo Fonseca. Come allenatore è un top e non ho dubbi su questo. Ha qualità anche come persona e come uomo, è molto importante per poter essere un leader. Siamo una squadra, lui non fa tutto da solo e l'assistente fa solo piccole cose. Noi parliamo e discutiamo di tutto, perché è Paulo che lo vuole, ascolta le nostre opinioni e chiede il nostro contributo. Durante gli allenamenti abbiamo un ruolo attivo, Fonseca guida la seduta e noi siamo in una posizione chiave per aiutarlo su alcuni aspetti e determinate fasi. Lavoriamo da tanto insieme e capiamo cosa fare in ogni situazione. Spesso Paulo divide il gruppo, lui di solito si concentra sulla fase difensiva e io mi concentro con Nuno sulla fase offensiva. A volte lavoriamo su aspetti molto specifici, magari vediamo che i centrocampisti hanno una difficoltà in particolare e ci chiede di curare questi dettagli.

Qual è stato il suo percorso per arrivare a lavorare con Fonseca?

Ho cominciato la carriera come allenatore a 20 anni, quando ero all'università. Sono stato allenatore e vice per 9 anni nelle divisioni inferiori, ma cercavo sempre di analizzare la squadra, cosa andava bene e cosa no, cercavo di comprendere anche gli avversari e perché ottenessero risultati. Analizzavo ogni cosa e mi confrontavo molto, usavo i social media per questi confronti. Non ero famoso, quindi cercavo un posto per mettermi in gioco per fare quello che ho sempre sognato. Fonseca ha visto questi video e gli sono piaciuti. Un giorno mi ha chiamato, non mi sarei mai aspettato che l'ex allenatore del Porto chiamasse me, anche perché non ci conoscevamo. Mi disse che voleva incontrarmi e parlare delle mie idee. Dopo due ore di conversazione mi ha invitato a lavorare con lui. È una storia che non è normale nel calcio di questo livello, però Paulo è un uomo che ha una mente molto aperta. Non chiama qualcuno solo perché lo conosce o magari gli è stato segnalato. Lui cerca persone con determinate caratteristiche e io sono uno di quelli.

L'avversario più difficile che avete incontrato a livello tattico?

Secondo me la Serie A è il campionato più difficile in assoluto. Prima di tutto perché tutte le squadre hanno ottimi giocatori, i club possono investire, in ogni squadra ci sono giocatori forti, che hanno giocato in grandi squadre o sono comunque decisivi. Inoltre, questo è il campionato in cui ci sono più idee, e tutte diverse, a livello tattico. Sono rimasto molto sopreso, non me lo aspettavo. Avevo una determinata idea, cioè che le italiane fossero brave nella fase difensiva, anche basato sulla 'vecchia scuola'. Ma quando siamo arrivati qui alla Roma, abbiamo capito che questo è un campionato davvero molto ricco a livello tattico. Negli altri campionati trovi magari giocatori forti, ma tutte le squadre hanno idee molto simili tra loro, magari 4 o 5 che giocano più o meno allo stesso modo. Qui in Italia ognuna gioca a modo suo, le cose più particolari le ho viste qui e noi abbiamo già raggiunto un buon livello nella nostra carriera, giocando in Champions League. E' impressionante, la Serie A è la più difficile per un allenatore. Ogni partita ha una storia diversa. Sulle squadre in particolare, posso parlarti di quelle che ci hanno messo più in difficoltà, Atalanta e Verona. Per l'Atalanta è facile capirlo, Gasperini lavora con loro da 4 anni e ha fatto un percorso che parte da lontano. È importante per ogni allenatore, avere tempo, far crescere la squadra con la propria idea. L'Atalanta ha un'idea molto specifica di cosa può e deve fare. Inter, Napoli, Lazio, City, Valencia non sono riusciti a vincere con l'Atalanta, è un incubo giocare con loro. Ricordo che Guardiola disse che giocare con l'Atalanta era come andare dal dentista, una cosa  molto dolorosa. Loro hanno un'idea, un modello di gioco e di allenamento, che è basata su un atteggiamento difensivo a zona. Quando giochi contro di loro devi cambiare la mentalità e l'assetto dei tuoi calciatori per quella partita. Ed è molto difficile questo, quasi impossibile. E' impossibile cambiare faccia alla tua squadra ogni settimana, c'è bisogno di tempo per migliorare. Lavori in un modo per settimane e poi all'improvviso ti ritrovi a dover cambiare con un clic e dire ai giocatori, 'Dimenticate tutto, ora dovete fare questo e questo'. Questo è il motivo per cui tante squadre hanno avuto difficoltà con l'Atalanta e anche il Verona. Nelle ultime 10 l'Hellas ne ha persa solo una, ha battuto la Juve e ha pareggiato con la Lazio. Le squadre, anche le big, che affontano formazioni con questo tipo di difesa hanno molte difficoltà e sono le squadre peggiori per noi da affrontare. Questo anche perché non abbiamo avuto ancora tanto tempo per spiegare come bisogna giocare a uomo. Quando avremo avuto più tempo la squadra sarà pronta. Non è facile cambiare una squadra per una sola partita.

Come mai Mancini ha deciso di provare Mancini a centrocampo e come lo avete allenato?

Era un momento in cui avevamo molti infortuni. E' qualcosa che stiamo affrontando alla Roma, nelle nostre squadre non era mai successo. Questo è soprattutto a causa di un fatto storico dei giocatori della Roma, ci sono tanti calciatori con tanti infortuni nel passato. Come sappiamo, la cosa principale che infuisce sulla possibilità di infortuni è la storia dei giocatori. Tante situazioni, però, sono state traumatiche, durante la partita. Avevamo tanti infortuni in quel momento, non avevamo Diawara, Pellegrini e Cristante. Avevamo solo Veretout. Era una crisi. Da allenatori, dobbiamo trovare soluzioni e non problemi. Paulo ha avuto questa visione, perché questo è, ed è il motivo per cui è un grande allenatore. Ne abbiamo discusso, è una questione di caratteristiche dei giocatori. Noi non giochiamo con un centrocampista difensivo, ce n'è uno più responsabile a livello di equilibrio, un numero 6. Mancini ha queste caratteristiche, è un centrale di difesa e un giocatore intelligente. Ti ricordo che lui veniva proprio dall'Atalanta di Gasperini, era abituato a giocare a una difesa a uomo e si è adattato molto bene. Lui ha anche la qualità con la palla, di ricezione e passaggio, sono elementi fondamentali. Deve avere anche la qualità e il coraggio di prendersi il pallone. Quando abbiamo guardato tutte le opzioni, Paulo ha pensato che Mancini fosse il giocatore ideale per aiutare la squadra in quel momento ed aveva ragione. Abbiamo avuto un periodo fantastico tra ottobre o dicembre, avevamo la difesa migliore della Serie A.

Come ha fatto Smalling ad adattarsi così velocemente a un nuovo campionato?

Sta facendo una grande stagione, perché ha una caratteristica molto importante per la nostra squadra. E' aperto a imparare, nonostante lui avesse un certo 'status' dopo tanti anni al Manchester. E' una mente aperta e vuole imparare, questo è importantissimo per noi. Il nostro gioco è complesso, se non hai l'ambizione di migliorare e imparare avrai difficoltà con noi. Lui voleva fare tutto quello che chiedevamo. Quando lo abbiamo preso abbiamo visto che aveva tante caratteristiche di quelle che volevamo. Noi lo abbiamo capito prima che poteva essere lui l'uomo giusto, per questo lo abbiamo acquistato. Inoltre lui è all'interno della squadra, condivide le nostre idee, capisce sattamente cosa deve fare, parliamo lo stesso linguaggio. Se io sbaglio so che qualcun altro sarà lì ad aiutarmi. Abbiamo provato a prendere il meglio da Smalling, lavorando sui dettagli e aiutandolo a migliorare su quello che aveva bisogno di fare meglio. Tutti hanno cose che possono migliorare.

Cosa ne pensa dei big data nel calcio? Quali statistiche usa di più?

Prima di tutto dobbiamo pensare alla quantità dei dati e alla qualità. Per noi la cosa più importante è la qualità dei dati, non la quantità. Al giorno d'oggi abbiamo un numero di dati che non finisce mai e noi dobbiamo essere molto selettivi su quelli da utilizzare. Usiamo i dati per confermare quello che abbiamo visto con i nostri occhi. Non partiamo dai dati e poi vediamo la partita, è l'opposto. Questo è il motivo per cui l'uomo fa la differenza, perché tutti possono vedere dati ed equazioni. I numeri sono solo un supporto. A volte vedo dai report che c'è un giocatore che ha perso tanti palloni nei primi 30 metri o un giocatore che non tocca tanti palloni come dovrebbe. L'elemento di partenza è sempre quello che vediamo con i nostri occhi, mai i numeri. Ci fidiamo più dei nostri occhi che dei dati.