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Tancredi: “Il tempo di Pallotta è finito. Fonseca unica certezza della Roma”

L'ex portiere romanista: "Spero che si riesca a chiudere la cessione della società, i tifosi giallorossi meritano di più"

Redazione

L'ex numero uno della Roma Franco Tancredi, protagonista del secondo scudetto giallorosso vinto nel 1983, è stato intervistato da Radio 2 e ha parlato tra le altre cose anche dei giallorossi di oggi. Le sue parole:

Su Dino Viola e Nils Liedholm

Io devo tutto al presidente che mi ha sempre voluto e che per noi era come un padre, erano altri tempi rispetto al calcio di oggi. Prima si firmavano i contratti con una stretta di mano. Quello con Nils Liedholm è stato un binomio fantastico, perché ha tolto dalla porta della Roma Paolo Conti per mettere me. Quindi diciamo che sono stato fortunato di capitare al momento giusto nel posto giusto, avendo dato anche delle buone prestazioni per poter fare più di 300 partite con la Roma. La scaramanzia di Liedholm è risaputa in tutto il mondo. Mi ricordo quando nell’anno dello scudetto andammo a giocare un secondo turno delle Coppe a Norrköping, dove vincemmo ai calci di rigore infatti io parai 2 calci di rigore su 4. Lui alla fine della partita è venuto e mi ha detto “Hai visto il famoso Mario Maggi come ti ha guidato? Come ti ha fatto parare i rigori?”. Io infatti dicevo sempre che più che a uno svedese assomigliava a un uomo del sud Italia. Un altro aneddoto è quello che prima della partita lui si sedeva sulla mia maglia e io mi arrabbiavo con i magazzinieri perché a me piaceva vestirmi con calma e non riuscivo mai a trovare la maglia, loro lo sapevano che ce l’aveva Liedholm sotto di lui. Ci sono tanti aneddoti e ricordi bellissimi, Liedholm mi ha migliorato sia come portiere che come uomo. Quella squadra è stata costruita magistralmente da Viola e Liedholm. È stato un crescendo, perché prima abbiamo vinto due Coppe Italia poi c’è stato quel goal di Turone, poi siamo arrivati terzi nell’81 e poi c’è stata la cavalcata dell’82/83 meritatamente contro una grandissima Juventus che schierava dall’altra parte nove nazionali più Boniek e Platini, quindi la vittoria nostra vale ancora di più.

Su Roma-Liverpool

C’è un grande rammarico che è quello del sogno, quello che potevamo fare veramente la storia sotto tutti i punti di vista, che era la sconfitta ai calci di rigore contro il Liverpool nella Coppa dei Campioni soprattutto giocata nel nostro campo con i nostri magnifici tifosi. Secondo me è cominciato da molto prima che quella partita sembrava ed è stata storta. Come non ricordarsi il goal che abbiamo subito, un fallo grosso come una casa e l’arbitro ha dato la regola del vantaggio. Quindi è stato doppiamente un errore, perché sulla carica del portiere la regola del vantaggio non esiste. Perché quando ho perso la palla è andata sui piedi di Bonetti ed è lì che lui si è convinto che il gioco poteva continuare e invece non era così. Poi abbiamo avuto i giocatori che dovevano battere i calci di rigore con Pruzzo che è uscito alla fine del primo tempo per un infortunio, poi Cerezo a 5 minuti dalla fine dei tempi supplementari ed era un rigorista. Quindi tutto è andato per il verso sbagliato. Però io sono molto orgoglioso di aver partecipato, perché è stata veramente una cavalcata incredibile. Certo, è mancata la ciliegina sulla torta, però per noi era anche la prima volta quindi abbiamo dovuto pagare dazio in questo senso.

Sulla morte di Agostino Di Bartolomei

Sono rimasto pietrificato perché in quel momento stavo guardando il telegiornale, quindi ho assistito in diretta. Siamo rimasti tutti orfani di un grande amico, di un grande calciatore, di una persona intelligente. Lui aveva questo suo carattere molto chiuso, era difficile da poter capire e interpretare i suoi problemi o malesseri. Se ne sono dette tante ma io non sono andato dietro a queste cose e non ci andrò mai, io ricordo solo che ha me ha fatto tanto del bene e mi ha aiutato tantissimo, era il mio capitano. Quello era uno spogliatoio pieno di personalità e quando parlava lui stavamo in rigoroso silenzio ad ascoltarlo. Sono rimasto molto legato alla famiglia di Agostino e lo sarò sempre. Per me è un vuoto che non si colmerà mai.

Su Paulo Roberto Falcao

Falcao è stato colui che ci ha portato la famosa mentalità vincente, perché era un giocatore immenso sia fuori che dentro il campo. Ci ha fatto capire cosa volesse dire voler lottare con grande continuità anno per anno contro le grandi squadre. Quando avevo la palla tra le mani Liedholm non voleva che la rinviassi con i piedi, volva come adesso che l’azione partisse da dietro e io trovavo Falcao sempre smarcato, ma io non gliene faccio una colpa. Se uno non se la sentiva non se la sentiva. Io alla fine della partita glielo chiesi e lui mi diceva che aveva male alla gamba e non riusciva a camminare.

Su Fabio Capello e la Juventus

Sono molto grato a Fabio Capello perché mi ha dato la possibilità di lavorare in Italia e all’estero, quando mi ha richiamato dal settore giovanile in prima squadra ho fatto due anni. In quel periodo dovevamo andare all’Inter, invece poi siamo andati alla Juventus e io a quel punto non ho saputo comunicare, ma c’è stata una situazione poco chiara e Fabio mi ha chiesto se volevo continuare a lavorare con lui, io da buon professionista mi sono accodato ma con grande rispetto verso i tifosi della Roma. Dopo ci siamo capiti, ci siamo riappacificati e quindi tutto è tornato alla normalità. È stato anche esasperato il concetto, c’erano delle situazioni poco chiare.

Su James Pallotta

Penso che il periodo di Pallotta alla Roma sia terminato e questo era accaduto prima di questa tremenda pandemia. Secondo me era quasi tutto fatto con il cambio della proprietà. Poi dopo è successo quello che è successo quindi il calcio riprende piano piano e mi auguro anche, sia per Pallotta che per il nuovo proprietario, che vadano in porto le operazioni in modo da poter riprogrammare tutto, da poter dare soprattutto delle soddisfazioni al popolo giallorosso, che lo merita perché è sempre presente, sempre al fianco della squadra. In questo momento di confusione generale c’è una certezza, e non è poco, che è Paulo Fonseca. Ho grande stima di questo allenatore e speriamo che tutto vada al proprio posto e si riesca a risolvere questa situazione, perché i tifosi della Roma meritano di più. Io sono romanista dai capelli ai piedi. Trentuno anni di militanza non me li può togliere nessuno, ho vissuto dei momenti bellissimi sia da calciatore che da collaboratore tecnico. Sarò sempre riconoscente alla Roma e ai suoi tifosi che mi hanno sempre accolto bene, tranne quella parentesi che è stata chiarita. Io adesso spero che lo stadio venga riaperto al pubblico e porterò il mio nipotino a vedere le partite della Roma.

Sulla cessione di Alisson

È stato ceduto perché come sempre c’era una gestione che non poteva fare a meno di poter vendere Alisson. A me piace da morire Alisson, l’anno scorso l’ho visto alla finale di Coppa dei Champions League, non ha fatto solo parate incredibili ma ha fatto proprio una partita perfetta che solo un grande portiere può fare. A me è dispiaciuto però capisco che bisognava anche tappare le falle e quindi non si poteva fare diversamente.