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forzaroma news as roma Soulé: “Stavo per andarmene, Ranieri mi ha convinto a restare. Gol al derby? Stupendo”

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Soulé: “Stavo per andarmene, Ranieri mi ha convinto a restare. Gol al derby? Stupendo”

Soulé: “Stavo per andarmene, Ranieri mi ha convinto a restare. Gol al derby? Stupendo” - immagine 1
L'attaccante giallorosso: "I tifosi della Roma sono molto passionali e vivono molto la partita, come in Argentina. Mi ha chiamato Spalletti per la Nazionale, ma la mia priorità è l'Albiceleste"
Redazione

Matias Soulé, al canale YouTube Los Edul di Gaston ed Estaban Edul, ha parlato della sua esperienza nella Capitale e non solo. Queste le parole dell'attaccante argentino della Roma che, dopo un avvio al di sotto delle aspettative, nella seconda parte di stagione è esploso a suon di gol, giocate e buone prestazioni caricandosi la squadra giallorossa sulle spalle.

Come procede l'adattamento a Roma? "Il clima è molto bello, mi sono ambientato molto bene. Roma simile all'Argentina? Veramente sì, è bellissima. C'è molta storia. Calcisticamente siamo partiti male, ma poi ci siamo risollevati. L'arrivo di Ranieri ci ha tranquillizzato, abbiamo conquistato abbastanza punti e ci siamo rialzati".

Sei nervoso quando non giochi? "So che sono giovane, ma ovviamente tutti vogliono giocare. Quando sono arrivato non stavo giocando molto ed ero sul punto di andare via, ma parlando con lui (Ranieri, ndr) mi ha detto di rimanere che avrei avuto le mie chances. E poi ho giocato e ottenuto ciò che volevo".

Alla Roma ci sono altri due argentini, Dybala e Paredes: quanto ti aiutano? "Sono due persone splendide, soprattutto come persone. Già li conoscevo. Prima di venire a Roma ho parlato con loro, non sapevo se sarebbero rimasti o andati via. Quindi gli chiedevo 'e voi, che fate?'. Ovviamente volevo che rimanessero, anche per l'adattamento e per il fatto che li conoscessi. Avere un connazionale argentino in squadra è un'altra cosa".

Come hai cominciato nel mondo del calcio? "Mio papà giocava con me a pallone quando ero molto piccolo, mio padre è un grande tifoso di calcio. Ricordo che volevo andare a giocare in una scuola calcio, ma a 3 anni e mezzo ero troppo piccolo. Poi ho cominciato a 4 anni, a Mar de Plata, in una squadra di calcio a cinque, al Club Argentino del Sud. Poi sono passato al Kimberley, dove ho giocato un paio d'anni a 11. C'era mio papà che guardava su internet per farmi fare delle prove a Buenos Aires. Poi con l'Independiente, mi diceva di fare queste prove e che mi avrebbe portato ma gli dicevo di non dirmelo perché ero troppo piccolo. Avevo 8-9 anni. Mio papà era un cartero, guidava il camion e lavorava praticamente tutto il giorno, 10-14 ore. Si alzava alle 6 di mattina e tornava a casa la sera. Quando poteva veniva a vedere la fine dell'allenamento, altrimenti andavamo con mia mamma in autobus. La possibilità di andare a Buenos Aires è arrivata una-due settimane dopo. Andiamo al mare e incontriamo un coordinatore del Kimberley, dicendo che mi volevano far fare una prova al Velez. Mio padre gli ha lasciato il numero perché si sarebbe dovuto organizzare con il lavoro e 4-5 giorni dopo lo hanno chiamato, ovviamente non mi disse nulla. Poi siamo andati al Velez, a 9-10 anni. Sono rimasto lì un paio di settimane e mi dissero di tornare dopo un mese, poi mi tesserarono per giocare in Liga. Sarei rimasto da solo a 11 anni, in convitto, e non era facile. Volevo che ci fosse mio papà, ma volevo anche andare a tutti i costi lì".

Quando ti sei accorto che avevi qualcosa in più dei tuoi compagni? "Passo dopo passo, quando ero a Mar de Plata già avevo il sogno di giocare con una squadra di Buenos Aires. Ovviamente non ho realizzato, giocavo e per me era un divertimento. Gli allenatori già da piccolo mi dicevano qualcosa, ma ovviamente non li ascoltavo. Passare da una squadra locale a una di AFA era un passo importante per chiunque voglia giocare a calcio e nel calcio argentino".

La storia in Italia quando comincia? "A 15 anni. C'era un torneo con la Nazionale Under 16 in Portogallo, era andato abbastanza bene e cominciarono a osservarmi. Ho ricevuto diverse offerte e sono venuto qui. Non avevo un contratto. Era una cosa inimmaginabile, c'era già l'interesse di club importanti come la Juventus ed è stato un sogno velocissimo. Ero minorenne e sono venuto con la mia famiglia, senza pensarci due volte: è stato tutto molto veloce".

Ora come guardi al passato? "E' stato duro, inizialmente non volevo andare via dal Velez ma quando sono accadute un paio di cose non ho neanche esitato nel decidere di andare. Nessuno mi aveva detto niente che nei tornei mi avevano visionato, un giorno mentre mi stavo allenando poco prima di una convocazione con la Nazionale mi hanno chiamato fuori dicendomi che non potevo allenarmi perché avevo firmato un contratto. Non sapevo nulla. Ho mandato una foto a mio papà e al mio rappresentante di me negli spogliatoi, volevo solamente allenarmi e andare avanti nel torneo. Alla fine hanno cominciato a dire che volevo andare via, la gente ha cominciato a parlarne e anche mio padre si è un po' impaurito, mi ha riportato a Mar de Plata. Non mi è piaciuto come si è evoluta la situazione: mi avevano fatto andare, mi avevano fatto cominciare ad allenare e poi mi chiamano per dirmi che non potevo. Avevo 15 anni, non ne capivo nulla. Se non mi potevo allenare potevano non chiamarmi con la selezione".

Sei legato all'Independiente, con cui non hai mai giocato: come mai? "La prima volta che sono andato in Nazionale, non avevo ancora giocato in prima divisione, mi avevano regalato una matera che aveva il logo dell'Independiente e mi sembra anche quello della Juve: così è cominciato. Tutta la mia famiglia è dell'Independiente e già da piccolo ero molto tifoso. Vedo tutte le partite. Non ho mai giocato lì ma i tifosi mi trattano come uno di loro, è un onore. Sono stato al Libertadores de America una volta, la mia prima volta. Da piccolo non poteva andare perché mio padre lavorava. L'ho vista con lui e mio fratello: meraviglioso".

In futuro vorresti giocare in Argentina? "Attualmente non ci penso, ma in futuro sì. E' un desiderio giocare nel calcio argentino, per me che non ho mai giocato in Primera. Per i tifosi, che sono un'altra cosa. Mi piacerebbe un giorno tornare a giocare lì".

Sul passaggio alla Juventus. "E' stato incredibile. Pensando passo dopo passo, non sono cose che immagini. Di passare in un club europeo e alla Juventus. Lì ho cominciato a conoscere Dybala, anche se non ero in prima squadra. C'era anche Cristiano Ronaldo. Avevo 17 anni, anche perché a 18 ho esordito in prima squadra. Dybala non mi conosceva ma sapeva che fossi un ragazzo argentino: ci siamo fatti una foto e dopo l'ho invitato a casa mia quando mio papà era venuto a fare un asado. Non ero ancora in prima squadra e mi ricordo di aver detto 'Viene Dybala a casa mia'. Mio papà mi ricorda sempre che gli dissi 'Dybala ha una Lamborghini e una Ferrari, vedi come mi tratta'; non capiva la dimensione di quello che fosse. Ora invece siamo più amici e siamo in confidenza. Dybala è un genio che non ti immagini. Mi allenavo con Ronaldo, ma non ero in spogliatoio con lui. Ho fatto un mese con lui, una volta stavo mangiando da solo e con un amico uruguayano e Ronaldo si è seduto vicino a noi. Era la prima volta che parlavo con lui, visto che parla uno spagnolo perfetto, e siamo rimasti lì un'ora: raccontava di tutto e non ci credevo, della vita a Madrid e ovviamente io gli facevo domande. Ero nervoso, ma gli chiedevo di tutto. Non giocavo tanto nella Juve e ho optato per andare via, avevo bisogno di giocare: siamo retrocessi (col Frosinone, ndr) all'ultima giornata, avevamo bisogno di un pareggio ma abbiamo perso. Comunque mi ha aiutato a crescere".

Ti ha chiamato anche la Nazionale Italiana. "All'epoca giocavo al Frosinone e il mio allenatore (Di Francesco, ndr) conosceva bene il C.T. Spalletti. Ero rimasto a dormire a casa di Dybala a Roma, quando mi arrivò un messaggio dal mister. 'Mati, tutto bene? Ti chiamerà il CT della Nazionale Italiana per convocarti'. Spalletti mi chiamò, mi fece i complimenti perché stavo andando molto bene e disse che mi avrebbe voluto in Nazionale perché sapeva che avevo il passaporto italiano. Venne anche al nostro centro sportivo per incontrarmi, a Frosinone, per dirmi che mi voleva e che dovevo prendere una decisione, di lì a poco ci sarebbe stato l'Europeo. Ci avevo già parlato prima, poi quando venne in persona, e non me lo aspettavo, gli dissi che avrei aspettato l'Argentina. Accettare sarebbe stata la scelta più facile, ma gli dissi che la mia proprietà era l'Argentina e che avrei aspettato. Lui fu comprensivo. Ora sono in attesa della chiamata dell'Argentina. So che c'è tanta concorrenza, ma continuo a lavorare. E' il sogno di ogni bambino, non smetterò di sperarci".

Ti ha cambiato il gol nel derby Lazio-Roma? "Sì, fortunatamente mi ero rialzato e stavo giocando di più. Avevo giocato le ultime 6-7 da titolare, quel gol è spettacolare. C'era anche la mia famiglia, che era venuta, ma non sono riuscito a trovarli perché giocavamo in casa della Lazio e i posti erano diversi. Fu stupendo. E' vero che Dybala mi aveva detto che stavi sempre calciando sullo stesso palo? Sì, me lo dice sempre. C'è un video prima della partita in cui si vede che Dybala fa con la mano il segno della traiettoria. Durante la partita Dybala sembrava un allenatore, ci siamo fatti un sacco di risate per questo con il gruppo. Paredes e Dybala sono alla moda, ma sono anche umili".

La tifoseria della Roma è simile a quella argentina. "Sì, sono molto passionali e la vivono molto, come in Argentina. C'è molta pressione, la necessità di conquistare risultati positivi. Mentre facevamo male i rapporti si erano un po' complicati, ma ora che ci siamo rialzati è tutta un'altra cosa".

Domande a raffica. "Un idolo? Messi e Aguero. Lo stadio più bello dove ho giocato? Non ho giocato in molti, ma questo di Roma o quelli del Milan-Inter e della Juve sono molto belli. Hai l'obiettivo di comprare qualcosa? Una casa qui, a Roma. Il miglior esterno del mondo? Salah. Mate a ogni ora? Sempre. Ho anche un yerba consigliata da Paredes che non ha caffeina per la sera, così la notte posso dormire".