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Siamo tutti Antonio

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A fine partita Mourinho è corso sotto il settore in lacrime: "Ho pensato ad Antonio e ho pensato che c'è tanta gente come lui che hanno fatto sacrifici per venire qua e stare con la squadra"
Francesco Balzani
Francesco Balzani Collaboratore 

Si chiama Antonio, fa il barista a Roma Chef ed è un nostro amico al contrario di un altro Antonio che viene da Bari. E' nostro amico perché potrebbe chiamarsi Marco, Maurizio, Paola o Lorenzo. E potrebbe fare il commesso, l’avvocato o l’amministratore di condominio.  Perché ha gli occhi gonfi ma d’amore. Perché si sta sbattendo su siti, telefoni e agenzie per trovare un altro pacchetto da Odissea per Budapest dopo quello per Leverkusen. “Si parte da Milano? No problem. Si atterra a Vienna? Prendo il taxi fino a Budapest”. In barba magari alle tasse da pagare, all’auto nuova che può aspettare, al vestito che in fondo “ma a che me serve? Me metto quello dell’anno scorso”. Tutto per la Roma, per questa Roma. Per queste notti. Antonio è un ragazzo che Mourinho ha voluto elogiare pubblicamente, è corso da lui sotto il settore di Leverkusen."Conosco qualcuno che è lì. Conosco uno che anche tu conosci, Antonio lavora a Trigoria. Per essere qui ha fatto una cosa incredibile, ha preso il treno poi è andato a Bologna ed è andato a Colonia. Domani va ad Amsterdam, una cosa incredibile. Ho pensato ad Antonio e ho pensato che c'è tanta gente come lui che hanno fatto sacrifici per venire qua e stare con la squadra. Penso a loro ed è parte del mio lavoro come allenatore pensare a questa gente. Ho provato emozione per loro”. Applausi.

Ma Mou è corso anche da Marco, Maurizio, Paola o Lorenzo. E’ corso da voi, in lacrime. Esausto, felice, sorridente. Più dei Cesari, non tutti inclini al contatto col popolo romano. José in quel momento era Antonio. E non Marco Antonio.Perché sì, avrà pure l’aereo diretto e l’hotel 5 stelle. Ma per arrivare a Leverkusen ha superato gli stessi ostacoli di Antonio tra infortuni, stanchezza, critiche di chi Antonio nella vita non è stato mai. Perché non ne aveva il cuore e nemmeno il fegato. Ora ci risiamo, come un anno fa. Tutti in viaggio verso Budapest. Chi con le auto, i treni, gli aerei, le navi. Chi atterra a Trieste, chi a Praga. Chi col cuore e con lo spirito. Chi col pensiero di chi ci ha lasciato e chi con la voglia di abbracciare suo figlio già fortunato di vedere due finali di fila. A noi ormai grandicelli non è mai successo. Succederà ora. E’ il miracolo di Mou, è il giusto premio per Antonio.