Squadre poco compatte, allenatori sempre con l'ansia da esonero, il gioco che fatica a decollare. È un'analisi dura e impietosa quella che fa Arrigo Sacchi, ex ct della nazionale ora responsabile di tutte le nazionali giovanili, del calcio made in Italy.
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Sacchi: “In italia si gioca malissimo”
Squadre poco compatte, allenatori sempre con l’ansia da esonero, il gioco che fatica a decollare. È un’analisi dura e impietosa quella che fa Arrigo Sacchi, ex ct della nazionale ora responsabile di tutte le nazionali giovanili, del...
«Il calcio attuale vuole che gli undici giocatori siano connessi tra di loro con una posizione attiva, con o senza palla - spiega Sacchi ai microfoni di Radio anch'io sport - Quasi tutte le squadre italiane fanno fatica a rimanere connesse, sono quasi tutte sparpagliate in campo: ai giocatori di maggiore talento abbiamo sempre consentito di fare quello che volevano, ma questo non va bene. Anche i più bravi devono essere connessi al collettivo». L'ex ct azzurro sulla base di questa analisi salva solo due squadre: «Ci sono alcune squadre un pò meglio organizzate delle altre, come il Cagliari e l'Udinese. Ma a questo concetto va abbinata la qualità che non sempre queste squadre hanno». Sono lontani i tempi in cui le squadre italiane primeggiavano in Europa. «Il calcio in Italia ebbe uno scossone quando arrivò Berlusconi - spiega Sacchi -: dall'89 al 99 l'Italia a livello internazionale arrivò con la nazionale maggiore una volta seconda e una volta terza ai mondiali, perdendo sempre ai rigori. In quegli undici anni siamo arrivati dieci volte in finale in Coppa Uefa: in quel momento sfruttando la capacità dei giocatori italiani di essere precisi si è raggiunto un calcio un pò più evoluto. Poi c'è stata una restaurazione perchè in un ambiente a volte isterico gli allenatori fanno fatica, sbagliano due partite e vengono esonerati. Io sono responsabili delle nazionali giovanili dall'under 17 all'under 20: giochiamo contro tutti e tutti i nostri avversari hanno più possesso di palla di noi: questo perchè le squadre italiane hanno sempre quattro-cinque giocatori pronti a distruggere e non a costruire»
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