(di Alessio Nardo) Ci si aspettava la rivoluzione. Travolgente, positiva, piena di cose belle. Il nuovo corso americano bussava alle porte della Roma con luminosi propositi e grandi idee: "Faremo, compreremo, rilanceremo". E noi qui, in attesa dei fatti, sorretti dal tipico ottimismo del tifo romanista.
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Roma, un'estate infernale
(di Alessio Nardo) Ci si aspettava la rivoluzione. Travolgente, positiva, piena di cose belle. Il nuovo corso americano bussava alle porte della Roma con luminosi propositi e grandi idee: “Faremo, compreremo, rilanceremo”. E noi qui,...
L'ultima stagione malinconica, densa di delusioni. Il triste commiato della famiglia Sensi lasciava finalmente spazio ad un'era nuova, innovativa. Ormai giunti al termine di una lunga estate, è il caso di fare i primi bilanci. In due parole: inferno e agonia. A livello societario, dirigenziale e di squadra. Il risultato, a soli tre giorni dalla fine del mercato, è una Roma più debole (sulla carta) della passata stagione, nonché già eliminata dall'Europa League per mano di un'allegra compagine slovacca. Il tifo preme, la gente non ci sta. La rivoluzione fin qui è stata un misero fallimento, augurandoci di poter affermare il contrario già nei prossimi mesi.
L'ESTENUANTE CLOSING - D'estati di passione il tifoso giallorosso ne ha vissute tante. Basti ricordare il 2003, con l'innesto "super" Cristian Chivu acquistato dall'Ajax e richiamato in Olanda negli ultimi giorni d'agosto per presunti problemi di fidejussioni. Oppure il 2005, segnato dal celebre "blocco del mercato" conseguente all'oscuro affaire Mexés. Vicende via via risoltesi, seppur dopo settimane di chiacchiere, caos e polemiche. L'estate 2011 verrà ricordata (forse) come la più stressante di sempre. Ed è un paradosso, visto il sospirato cambio societario che avrebbe dovuto garantire chiarezza, freschezza e positività all'ambiente. Primo capitolo: DiBenedetto e soci. Lo scorso 18 agosto si è finalmente celebrato il fatidico "closing" che ha segnato il passaggio ufficiale del 60% dell'AS Roma in mano al consorzio americano. Una semplice firma, dopo mesi e mesi di logorio psicologico. Partì tutto il 26 luglio 2010, con la ratifica dell'accordo tra Unicredit e Italpetroli per l'estinzione dei debiti della famiglia Sensi, a fronte dell'imminente messa in vendita del club giallorosso. Più di un anno per definire uno storico passaggio di consegne: dalle offerte non vincolanti a quelle vincolanti, giungendo all'esclusiva concessa dalla banca a DiBenedetto e co., con ripetuti incontri tra Roma e Boston e la firma del pre-accordo del 15 aprile negli Stati Uniti. Tutto fatto? Solo all'apparenza. Il "closing", atto finale della trattativa, inizialmente previsto tra la fine di maggio e i primi di giugno, ha subìto continui slittamenti senza adeguate spiegazioni dei protagonisti. Via a voci, indiscrezioni, allusioni e pettegolezzi più o meno credibili. Sino agli ultimi giorni di luglio: i giorni del dramma. La mattina del 24 alcuni giornali lanciano l'allarme: Unicredit-DiBenedetto, rischia di saltare tutto per un presunto "equivoco" relativo all'esposizione debitoria della Roma. Tensione, paura, il tifoso medio fatica a prender sonno. Non può nemmeno immaginare di veder fuggire gli americani e ritrovarsi (per l'ennesima volta) a mani vuote, con un progetto lussuoso stroncato sul nascere. Pian piano, mentre in città serpeggia lo psicodramma, banca e bostoniani muovono passi di riavvicinamento. Il 29 luglio vengono pattuiti nuovi accordi: ci si vede il 3 agosto per la definitiva sistemazione dei documenti e dei dettagli, il 18 (dopo ferragosto) si firma. E la firma arriva. Triplice fischio di un tragicomico poema romanista.
FUORI DALL'EUROPA - Tra chiacchiere e gossip societari, ci si è forse dimenticati del bene primario: la squadra. I nuovi dirigenti opzionati da DiBenedetto (Walter Sabatini e Franco Baldini) hanno compiuto una scelta coraggiosa, affidando la gestione tecnica a Luis Enrique Martinez Garcia, 41 anni, ex grande centrocampista spagnolo e tecnico neofita proveniente dal Barcellona B. Rottura totale col passato, voglia di puntare su grinta e gioventù di un potenziale "Guardiola bis". La piazza ha accolto positivamente la scommessa, supportando l'operato del coach di Gijon. E' stato lui, Lucho "el ganador", il grande protagonista del ritiro estivo in quel di Riscone. Indomito lavoratore e gran personaggio, subito in confidenza col popolo. Tra partitelle a biliardino coi tifosi, l'inno "Roma Roma Roma" cantato a squarciagola in occasione di una serata di gala e l'apprezzatissima filosofia del "trabajo y sudor", Luis Enrique è (o era) diventato già un punto di riferimento. Per tutti. Sino alle prime, disgraziate prove del campo. Le amichevoli? Un disastro. Misere vittorie di misura contro Vasas Budapest e Wacker Innsbruck, larghissime sconfitte con Paris Saint Germain e Valencia (doppio 0-3). Infine, il baratro. L'eliminazione al primo turno stagionale d'Europa League contro il modesto Slovan Bratislava. 0-1 in Slovacchia, 1-1 all'Olimpico: un solo gol (peraltro su calcio da fermo) in 180' e alcune scelte ai limiti della follia. Okaka (escluso dal ritiro assieme a Simplicio) preferito aTotti e Borriello all'andata, il Capitano (migliore in campo e altra faccia triste di un'estate terribile, Baldini docet) tolto a 15' dalla fine del return-match. Luis ha perso serenità e lucidità, oltre al feeling col pubblico (lo stadio, giovedì sera, gli ha urlato più volte "buffone" in segno di disprezzo). L'ex Furia Rossa non offre segnali d'umiltà, si mostra rigido, spocchioso ed evita di illustrare il perché di alcune scelte bizzarre, trincerandosi dietro frasi fatte e stucchevoli. Insomma, così non va. Ordine supremo: Luis impari presto la nostra lingua. Se intende scimmiottare l'arroganza di Mourinho, almeno lo imiti in tutto. E lo Special One, al suo primo giorno d'Inter, sfoderò subito un perfetto italiano. Oltre ai pasticci, ci son le attenuanti. Capitolo mercato in arrivo.
MERCATO DELUDENTE - Parliamo di quel che è accaduto fino ad oggi, lunedì 29 agosto. Mancano ancora due giorni e qualcosa si può fare. Si, ma cosa? L'impressione è che si navighi a vista, dopo due mesi e mezzo durante i quali non si è riusciti a cavare un ragno dal buco, arrivando al primo impegno ufficiale dell'anno con un roster impresentabile. Senza procedere alla cronistoria del mercato giallorosso, analizziamo ogni ruolo per capire cosa non va. Si parte: il portiere. Positivo l'acquisto di Maarten Stekelenburg (nonostante la papera di Bratislava), ma s'avverte l'assenza di un valido secondo. Lobont non convince nessuno, ancor meno il cavallo di ritorno Curci. Se l'olandese beccasse un raffreddore, saremmo già pronti a farci il segno della croce. Poi, i terzini. A destra ripartiamo dai "soliti tre": Cassetti, Cicinho e Rosi. Con l'incognita Loic Nego, nazionale francese Under 20 tesserato a luglio ma non ancora annunciato. Serviva un titolare importante, una garanzia. Niente. E a sinistra? Ottimo, in prospettiva, l'innesto di José Angel Valdes, 22 anni, tanta corsa e qualità. Poi? L'alternativa manca, visto che Heinze (per caratteristiche) non sembra adatto al ruolo d terzino nella filosofia di Luis Enrique. Il 33enne argentino, prelevato a parametro zero, è una buona alternativa ai centrali Burdisso e Juan. Ne occorrerebbe un altro. Un giovane che abbassi (di gran lunga) l'età media. Ed era stato trovato: il danese Simon Kjaer, 22 anni, già tre stagioni vissute tra Serie A e Bundesliga ed un mondiale disputato. Sbarco a Roma, visite mediche e...ritorno in Germania. Già. Futili equivoci tra Sabatini e il Wolfsburg (la Roma vorrebbe il semplice diritto di riscatto, i tedeschi chiedono l'obbligo) rischiano di far saltare una trattativa già chiusa. Si arriva al centrocampo, nota assai dolente. De Rossi, peraltro in scadenza di contratto nel 2012, è l'unico punto fermo. Gli altri? Ragazzini inesperti (Viviani e Verre), modesti gregari (Greco e Perrotta) e autentici intralci (Taddei, Brighi e Simplicio). Ne servirebbero due. Due forti, due veri, due pezzi da novanta. Arriveranno? Non si sa. Di certo, nelle idee di Luis Enrique già sarebbero dovuti arrivare da un pezzo. Siamo all'attacco. Ceduti Vucinic e Menez per 23 milioni complessivi, Borriello sul piede di partenza e tre arrivi certi: Bojan, Lamela e Osvaldo per un totale di circa 40 milioni spesi. Resta aperta la casella per un ultimo innesto: Palacio in pole. La situazione generale è evidente, lampante. In quest'avvio d'era a stelle e strisce, la gente romanista s'aspettava di più: grandi acquisti, chiarezza, primi risultati. Non è il caso di gettare tutto alle ortiche, il progetto deve ancora partire. Ma è bene riflettere sugli errori (gravissimi) fin qui commessi. Per non tramutare il grande sogno romanista in un goffo e catastrofico salto nel buio.
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